L’auto, una bella Alfa Romeo di un colore giallo assolutamente insolito, svoltò nella corsia di viale Elvezia riservata agli autobus.
Erano le due del mattino e l’unica luce erano i due lampioni rimasti accesi. Il cartello di divieto era a malapena visibile in quella luce giallastra.
La guardia fischiò immediatamente.
L’uomo tirò un’imprecazione a mezza voce e fermò l’Alfa. Si avvicinarono in due, una donna e un uomo, in divisa, scesi da un’auto della vigilanza urbana che fino a quel momento era stata assolutamente invisibile, un prodigio di mimetizzazione.
«I ghisa, proprio da loro dovevo andare a sbattere» pensò il guidatore.
Fu la donna a parlare. Evidentemente era lei il capo. Una bella donna, pensò il guidatore, con un’origine esteuropea chiara nei lineamenti del volto.
«Patente e libretto, prego.»
«Ma perché?» cercò di dire l’uomo.
«Sta percorrendo una corsia riservata. Non ha visto il cartello?»
«No» rispose l’uomo. Guardò verso l’inizio della corsia. «Non si vede proprio niente.»
«Non si vede, eh? Però c’è.»
Il guidatore sentì l’irritazione crescere.
«Senta, ma a quest’ora! Non è ragionevole, io non ho dato nessun intralcio a nessuno, non c’è in giro un’anima e gli autobus è un bel pezzo che non vanno!»
«Il passaggio è vietato a qualsiasi ora» tranciò la vigile.
Il guidatore la soppesò con gli occhi. Si calmò un po’.
«Come mai mi sta facendo un verbale? Non c’è una telecamera?»
«È guasta. Per questo il Comune mi ha mandato qui.»
«Mi scusi, ma allora lei non potrebbe chiudere un occhio? …per stavolta?»
«È il Comune che non me lo fa chiudere» scherzò la vigile. «Fino alle quattro almeno, di dormire non se ne parla nemmeno. E poi mi scusi, lei l’infrazione l’ha ben fatta, no?»
L’uomo scese dall’auto.
«Eh già, l’ho fatta, l’ho fatta. Però… però se la telecamera non funziona, a saperlo siamo solo noi tre. E io, mi creda, non l’ho fatto apposta. Chiuda un occhio, via. Non lo farò più, adesso che conosco l’incrocio.»
«Mi dispiace, ma non posso proprio. Mi faccia vedere la sua patente.»
L’uomo si frugò nella tasca della giacca.
Quando tirò fuori la mano, impugnava una pistola con il silenziatore. Sparò in tutto sei colpi, due per ciascuno dei vigili, come capitava, e altri due nelle loro teste per essere sicuro che fossero morti.
In ogni caso, anche se per un momento ci aveva sperato, non sarebbe stato sicuro chiudere un occhio e lasciarli in vita. In mano alla polizia, la multa sarebbe stata un indizio schiacciante: il morto era a soli cento metri; ma se anche quei due l’avessero annullata, quella benedetta multa, poi si sarebbero potuti ricordare di averlo visto lì proprio a quell’ora, quando alla televisione avessero dato la notizia della morte del suo bersaglio.
E dalla targa sarebbero certamente risaliti a lui: una volta tanto, sentendosi al sicuro, per regolare il contratto non aveva rubato una macchina apposta, da piantare in qualche parcheggio di supermercato una volta finito il lavoro, ma si era mosso con la sua auto personale. In definitiva, riconobbe con sé stesso, aveva mancato di professionalità. Un contract killer che si rispetti dovrebbe essere sempre più che certo di non lasciarsi dietro delle tracce.
«Be’, però adesso ci ho messo una bella pezza, le tracce non ci sono più» si disse l’uomo, con un certo compiacimento, strappando il taccuino con la targa della sua auto dalle mani senza vita della vigilessa, prima di risalire sulla sua bellissima Alfa gialla e ripartire verso altre telecamere, funzionanti, davanti alle quali però sarebbe passato con l’innocenza di un angioletto.
Paolo Brera
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