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La Tobin Tax che non è tale e non funziona

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In Italia i prelievi sulla compravendita di azioni sono di fatto congegnati per colpire gli investitori, non gli speculatori. Eppure la Borsa è importante in un’economia di mercato

 

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Che cos’è la Tobin Tax? Si possono dare molte definizioni, ma quello che è certo è che quella introdotta in Italia con questo nome non è una Tobin Tax ma qualcosa di diverso. La Tobin Tax è stata proposta dall’economista premio Nobel James Tobin per arginare un tipo particolarmente nocivo di attività speculativa, quella ad alta frequenza che imperversa sul mercato valutario rendendolo volatile e a volte caotico.

Doveva essere un prelievo molto basso, tipo un decimillesimo dell’importo della transazione, in modo da non essere neppure notato dagli investitori veri e propri. Gli speculatori valutari, invece, che in genere compiono migliaia di transazioni in un singolo giorno per lucrare su minime differenze di cambio, si sarebbero visti evaporare il capitale.

Quella che da noi passa per una Tobin Tax, invece, è un’imposta che grava su tutti gli operatori del mercato borsistico (non di quello valutario) ma prima di ogni altro sugli investitori. Sulle operazioni più normali, infatti, l’aliquota è dello 0,2%, quindi non proprio bassa. Sui derivati, che sono quelli che possono destabilizzare l’intero sistema se esplode la volatilità, è dieci volte più bassa. Insomma, questa pretesa “Tobin Tax” non serve affatto a limitare la speculazione là dove è rovente e pericolosa.

La differenza tra una speculazione e un investimento è facile da esprimere, anche se a dire il vero nella vita reale la linea di demarcazione diventa un po’ nebbiosa. L’investimento riguarda l’economia reale: l’investitore mette del capitale, aspetta il tempo necessario e poi comincia a incassare dividendi – oppure vende ciò in cui ha investito e siccome è un’attività che dà reddito, recupera qualcosa di più del denaro che ci ha messo. La speculazione invece riguarda qualunque cosa e agisce quasi per intero nell’economia “pecuniaria” (come la chiamava Thorstein Veblen).

Certi tipi di speculazione hanno risvolti positivi. Comprando e rivendendo azioni in cerca di un plusvalenza di breve periodo, lo speculatore conferisce spessore e liquidità al mercato, perciò rende l’investimento più scorrevole e più attraente per i non speculatori. Ma quanto più ci si allontana dal mondo reale della produzione, tanto meno utile appare la speculazione. Le operazioni sui più complessi derivati finanziari sono pure e semplici scommesse, di quelle che hanno il loro posto a Las Vegas o Montecarlo.

Il meccanismo della pretesa Tobin Tax non scoraggia il gioco d’azzardo, scoraggia l’investimento in azioni. Il governo Renzi del resto ha preso fin dall’inizio posizioni ostili alla Borsa, senza badare al fatto che essa è uno degli àmbiti più importanti in cui il capitale affluisce agli investimenti. Basta pensare che oltre alla Tobin Tax esiste un’imposta sui depositi di titoli, una sul conto in banca, e una sulle plusvalenze derivanti dall’investimento, che è alta e non parametrata al reddito complessivo dell’investitore. La detrazione delle minusvalenze dall’imponibile è possibile entro un limite massimo di cinque anni (ma la Borsa italiana scende ormai da un tempo molto più lungo…). Se un’impresa fallisce e il valore delle azioni va a zero, è molto complicato riuscire a farsi riconoscere la perdita.

Come in altri campi, su ogni altra considerazione prevale l’avidità di denaro del nostro Stato, che sembra non temere per niente le conseguenze economiche, sociali e politiche del prelievo fiscale. Finché la Casta non cambierà approccio, oppure finché non sarà rovesciata a furor di popolo, sarà difficile assistere nell’economia a una ripresa: perché l’iniziativa economica viene di fatto sistematicamente scoraggiata, riducendo l’incentivo del guadagno che è una delle più ovvie molle che spingono gli esseri umani.
Paolo Brera

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Paolo Brera

Paolo Brera è nato nel secolo scorso, non nella seconda metà che sono buoni anche i ragazzini, ma nell’accidentata prima metà, quella con le guerre e Charlie Chaplin. Poi si è in qualche modo trascinato fino al terzo millennio. Lo sforzo non gli è stato fatale, ma quasi, e comunque potete sempre aspettare seduti sulla riva del fiume. Nella sua vita ha fatto molti mestieri, che a leggerne l’elenco ci si raccapezza poco perfino lui: assistente universitario di quattro discipline diverse (storia economica, diritto privato comparato, eocnomia politica e marketing), vice export manager di un’importante società petrolifera, consulente aziendale, giornalista, editore, affittacamere e scrittore. Ha pubblicato una settantina di articoli scientifici o culturali, tradotti in sei lingue europee, due saggi (Denaro ed Emergenza Fame, quest’ultimo pubblicato insieme a Famiglia Cristiana), due romanzi e una trentina di racconti di fantascienza, sei romanzi e una decina di racconti gialli, più un fritto misto di altri racconti difficili da definire. Negli ultimi anni si è scoperto la voglia di tradurre grandi autori, per il piacere di fare da tramite fra loro e il pubblico italiano. Questo ha voluto dire mettere le mani in molte lingue (tutte indoeuropee, peraltro). Il conto finora è arrivato a quindici. Non è che le parli tutte, ma oggi c’è il Web che per chi lo sa usare è anche un colossale dizionario pratico. L’essenziale è rendere attuali questi scrittori e i loro racconti, sfuggire all’aura di erudizione letteraria che infesta l’accademia italiana, e produrre qualcosa che sia divertente da leggere. Algama sta ripubblicando le sue opere in ebook, a partire dalla serie dei romanzi con protagonista il colonnello De Valera.

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