La conosciutissima legge di Morphy sull’inarrestabilità della sfortuna è sintetizzabile nel motto “everything that can go wrong will go wrong” (se qualcosa può andar male, lo farà) ma il concetto è espresso con altrettanta forza dalle massime autarchiche “piove sempre sul bagnato” o “le disgrazie non vengono mai sole”.
Il protagonista del film La variabile umana di Bruno Oliviero, l’Ispettore Monaco, è l’ennesima vittima di questa triste verità della vita.
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Monaco, impersonato dal sempre eccellente Silvio Orlando, un attore capace di svariare dal comico al tragico, si muove in una Milano che somiglia più alla metropoli cupa e dannata dei noir di Scerbanenco con Duca Lamberti che all’immagine consueta di viva anche se caotica capitale economica d’Italia.
L’Ispettore, cui si affianca nella parte di collega d’ufficio un altro versatile attore italiano, Giuseppe Battiston, è immerso in un’aura di profonda tristezza per la recente vedovanza (la moglie se n’è andata per un cancro) che l’ha lasciato solo con una figlia adolescente.
Monaco non avrebbe nessuna voglia di occuparsi dell’omicidio, con vasta risonanza mediatica, di un famoso imprenditore molto vicino alla politica, ma il suo capo, anche per aiutarlo a venir fuori dalla depressione, gli impone l’incarico.
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Un segno maligno del destino. Fin da subito l’inchiesta s’incrocia con la vita personale dell’ Ispettore. L’uomo ha la spiacevole sorpresa di sapere che la Polizia, la stessa notte dell’omicidio e non lontano dal luogo in cui è stato commesso, ha fermato sua figlia perché, in stato di ebbrezza, stava giocando a tiro a segno assieme a un amico, in un parco, con una pistola caricata a proiettili veri. Una ragazzata che tutti i colleghi, conoscendo la storia dell’ispettore, lo aiutano a far passare senza conseguenze per la ragazza.
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Il seguito è la prevedibile discesa in un baratro, con la scoperta di nuovi inquietanti collegamenti tra le vicende della figlia e il delitto di cui Monaco è chiamato a occuparsi con la solita professionalità.
Il bello di questo film è che non dovete aspettarvi un giallo e nemmeno, a ben vedere, un noir, ma una storia d’atmosfera, in cui l’ambientazione, col suo grigio e stanco senso d’ineluttabilità, fa da specchio allo stato d’animo del protagonista.
L’occhio della telecamera è impietoso nel registrare quanto accade con un realismo nudo che, in versione cinematografica, ricorda l’asciutta obiettività ( l’Ispettore Monaco è senza dubbio un “vinto”) della narrativa verista.
Rino Casazza
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