Il fumetto classico dei supereroi si attiene allo stereotipo della lotta del Bene contro il Male.
Il Bene è il supereroe, il Male i suoi avversari, mostri strapotenti o spietati criminali che lo attaccano quale unico argine ai loro disegni di prevaricazione sulla debole razza umana.
Solo alla fine degli anni 80, con l’avvento della serie Watchmen, la figura del supereroe ha cominciato a rivelare aspetti ambigui, mostrando, accanto alla caratteristica di paladino del Bene, quella di minaccia incombente per il possibile uso distorto dei suoi poteri.
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Il culmine di questa metamorfosi, che ha finito per umanizzare e far scendere da un piedistallo di perfezione il supereroe classico, è il nuovo Batman, che prende il soprannome di Cavaliere Oscuro, spinto più dall’istinto di vendetta che dalla sete di giustizia e alla fin fine non così diverso dai cattivi contro cui lotta.
Tuttavia, il ribaltamento più deciso dello schema “buonista” si realizza con la serie, nata anch’essa alla fine degli anni 80, non molto conosciuta qui in Italia, della Squadra Suicida, che ha avuto quest’anno consacrazione cinematografica in “Suicide Squad” di David Ayer, regista che ha il merito di aver rivisitato da un’angolatura nuova il film di guerra con lo splendido “Fury” del 2014.
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Le storie della Squadra Suicida sono ambientate in un mondo in cui i supereroi, dopo tante vittorie, hanno dovuto immolarsi per salvare l’umanità, lasciandola indifesa di fronte a nuovi attacchi di forze maligne.
Così, il governo americano pensa bene di ricorrere a un rimedio segreto, e rischiosissimo: arruolare una formazione speciale di criminali, incalliti ma abilissimi, al momento detenuti.
Costoro, pur riluttanti, sono costretti a collaborare, in cambio della promessa di uno sconto di pena, in quanto viene loro innestata nel corpo una bomba, attivabile a distanza nel caso si rifiutino o tentino di sottrarsi alle missioni impossibili affidate.
Il film di Ayer è appunto la storia della nascita e della prima avventura, che promette numerosi sequel, della Squadra suicida, chiamata così perché composta da umani mandati allo sbaraglio contro i cattivi superumani prima combattuti dai supereroi.
Agli appassionati di cinema non sfuggiranno le assonanze, mutatis mutandis, col buon vecchio “Quella sporca dozzina” di Robert Aldrich.
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Diciamo subito che l’impresa di Ayer era ad alto rischio, e non solo per l’inevitabile paragone col film stracult succitato, ma per l’eterogeneità, quasi barocca, dei personaggi messi in campo (incontentabile, Ayer ha aggiunto alla pattuglia degli esagerati kamikaze le comparsate di Batman e Flash nonché la presenza, assai più corposa, dell’immancabile Joker) e la conseguente complessità di riferimenti e sottotrame.
Si metta altresì nel conto che l’avversario dei falsi cattivi ( o finti buoni) è addirittura una strega etxradimensionale dagli immensi poteri, tra cui quello della possessione diabolica e che, venendo meno all’estrazione umana, per quanto deviata, dei componenti della squadra, tra questi alligna un metaumano dotato di misteriose capacità pirocinetiche.
Il pericolo di scadere nel fanta-polpettone, insomma, era alto.
In effetti, dobbiamo considerarlo evitato per un pelo.
Lo svolgimento della storia è piuttosto farraginoso, con troppe divagazioni, alcune incongrue, anche se la spettacolarità delle immagini e la sontuosità degli effetti speciali fanno da buon compensativo.
Il film scommette, con successo, sul fascino sopra le righe dei membri del commando, tutti irresistibili figli di puttana, eroici per sfida od interesse più che per convinzione.
Sopra tutti, per la bravura delle interpreti, due donne: Harley Quinn (Margot Robbie) e Amanda Walker (Viola Davis).
La prima è l’anima gemella, e sarebbe meglio dire alter ego femminile, di Joker: una ex psichiatra sedotta dal più pazzo dei criminali, e divenuta una beffarda e mortale assassina mascherata da Lolita coi infantili codini e vertiginosi hot pants a sottolinearne lo statuario lato b.
La seconda è l’agente governativo madre e direttrice della Squadra Suicida: un funzionario imbevuto di cinismo che rivela una folle spregiudicatezza e uno sprezzo del pericolo persino superiori ai suoi sottoposti.
Citazione d’obbligo per Will Smith. Il ruolo di Dreadshot, il killer dalla mira infallibile, noncurante e venale, che solo la piccola figlia riesce a redimere, gli è cucito addosso.
Rino Casazza
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