Cimentarsi nel thriller d’azione al giorno d’oggi è un azzardo. Sembrerebbe una contraddizione, visto che di tratta di un genere cinematografico di sicura presa sul pubblico, con consolidati effetti speciali (sparatorie, inseguimenti e quant’altro) e uno schema narrativo classico: l’eroe, o l’antieroe, che alla fine trionfa dopo mille rischiose peripezie.
Invece, proprio perché lo spettatore sa bene cosa lo aspetta, deluderlo è facile, anche nel caso di un prodotto altamente professionale.
Mi sono accostato a “Una notte per sopravvivere” bendisposto per l’ammirazione che nutro per Liam Neeson, di cui non potrò mai dimenticare come ha reso, col suo fisico imponente inadatto alla fragilità, il pianto disperato e quasi infantile di Schindler di fronte alla tragica brevità della sua famosa lista.
L’attore nord irlandese, poi, è da sempre ottimo interprete di “action thriller” e noir non banali, come ad esempio il notevole, che consiglio, “Innocenza colposa”.
Venendo al film di Collet-Serra, che nel 2011 aveva già diretto Neeson in un thriller d’azione di successo, “Senza identità”, avrebbe potuto essere un piccolo gioiello se nel suo impianto di fondo non fosse, mutatis mutandis, la replica pressoché identica, con inevitabile fastidiosa sensazione di dejavu, di un film di qualche anno fa:” Era mio padre” di Sam Mendes, che poteva contare su un cast stellare: Tom Hanks e Paul Newman, nonché Jude Law, ancora una volta efficacissimo nella parte di un irriducibile killer sfregiato.
Non che il cast di Una notte per sopravvivere sia da meno, visto che vi compare, oltre a Neeson, il mitico Ed Harris, che ha dimostrato la sua eccellenza non solo in molte interpretazioni famose che non citerò, ma soprattutto nella parte minore di William Parcher, il rude esponente dei servizi segreti creato dall’immaginazione malata di Jhon Nash, protagonista di “A beautiful mind”.
E che dire della presenza, in qualità di detective duro ma umano, di Vincent D’Onofrio, l’immensa recluta dei Marines “Palla di lardo” di Full Metal Jacket?
Il film di Collet-Serra è perfetto nei ritmi e credibilissimo, senza strafare (altro rischio dell’”action thriller”) nelle movimentate scene di violenza, con molte belle idee squisitamente registiche, come quella di rappresentare New York come un plastico in miniatura nel quale la telecamera, zoomando a vertiginoso volo d’uccello, trova le varie location della vicenda.
Un ulteriore pregio della stessa è di rendere quasi irriconoscibile la città più cinematografica della storia, avvolgendola in un ambiguo buio punteggiato di luci (la trama si consuma nell’arco di un’unica, incredibile, notte), e rappresentandone angoli e scorci inusuali.
Piacciono molto, e non poteva essere che così, Neeson ed Harris nella parte di due malviventi pluriassassini pieni di umani tormenti e, in linea con la morale cattolica della loro origine irlandese, tristemente consapevoli, ma non pentiti, di aver scelto il peccato.
Quanto al tema dei rapporti generazionali nel mondo del crimine, col suo carico di contraddizioni e dolorosi scacchi, è forse trattato con più efficacia che nel citato film di Mendes, ma non si può proprio evitare che le due pellicole si sovrappongano nella mente di dei molti che le hanno viste entrambe.
Rino Casazza
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