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Così la demenziale burocrazia italiana devasta gli imprenditori

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La Cna (Confederazione Nazionale dell’Artigianato) ha proposto 100 misure utili a tagliare i lacci burocratici sulle imprese e capaci di far risparmiare sia sui costi che sui tempi delle pratiche: 1500 euro in meno da pagare e ore da dedicare all’anno al problema che passerebbero da 313 a 263. La cattiva burocrazia (non che ne esista una buona: leggetela come la burocrazia sulla burocrazia) pesa oggi per più di 43 miliardi di euro.

Vuoi mettere l’insegna fuori da un negozio? Devi coinvolgere fino a 9 enti (9!!!), aspettare fino a 120 giorni e pagare fino a 1500 euro. Ma se poi hai sbagliato qualcosa, sono multe salate. Vuoi partecipare ad un appalto? Ti devi registrare su almeno 25 piattaforme (25!!!), spendere circa 5 mila euro e impiegare 5 giorni di lavoro. E solo per chiedere: posso? «Semplificare – dice il presidente nazionale della Cna, Dario Costantini – non significa ridurre controlli e tutele, al contrario rendere più trasparente il rapporto con il sistema burocratico a tutti i livelli assicura una maggiore efficacia delle norme».

Non si tratta di rivoluzioni, ma di tagli di buon senso. Altri esempi: se esistesse una regola chiara sui rifiuti tessili, le aziende eviterebbero di portarli in discarica pur di non incappare in sanzioni. E perchè, poi, presentare una dichiarazione di salubrità dell’ambiente legata ad un decreto del 1934, quando si potrebbe serenamente presentare una documentazione prima dell’avvio dell’attività senza spendere 3 mila euro? Perchè per lavorare in un porto un’impresa deve farsi autorizzare ogni volta con una miriade di carte quando tutto potrebbe essere centralizzato una volta sola? Perchè mettere di mezzo le sanzioni sulla privacy e la sicurezza se un fioraio perde il tablet contenente le consegne dei clienti?

La burocrazia annidata in un mare di leggi

Sono solo alcune delle proposte tese a sforbiciare l’immane galassia della burocrazia italiana, che impedisce di fatto alle aziende di crescere, ma ormai pure di sopravvivere. D’altra parte, nel Belpaese, esistono qualcosa come 250 mila leggi. Almeno così disse nel 2022 il ministro della giustizia Carlo Nordio. A fine dicembre 2023 la Cgia di Mestre stimava invece 160 mila norme, di cui poco più di 71 mila approvate a livello nazionale e 89 mila dalle Regioni e dagli Enti locali. Numeri distanti dalle 250 mila, ma già di per sè dieci volte superiori a quelle di Francia (7000), Germania (5500) e Regno Unito (3000) messe insieme.

L’associazione concludeva: «Questa sovraproduzione normativa ha ingessato il funzionamento della Pubblica Amministrazione con ricadute pesantissime soprattutto per gli imprenditori di piccole dimensioni». Tale mostruosa zavorra comporta infatti l’espletamento di procedure per le imprese pari a 550 ore di lavoro, equivalenti a 103 miliardi di euro. È dunque assolutamente impossibile conoscere tutte le leggi. E infatti, nessuno, manco chi deve farle applicare o giudicare, le conosce a pieno: il sito Pagellapolitica provò a verificare, scoprendo che una relazione al Parlamento del 2007 curata dalla Presidenza del Consiglio rivelava la resa. Così: «Sembra un paradosso, ma né i cittadini, né i pubblici poteri sono in grado di sapere quante siano le leggi, e gli altri atti con forza di legge, che sono tenuti a rispettare». Roba da matti.

Come vive lo Stato italiano

Però questo è probabilmente il principio su cui lo Stato italiano campa: proprio perchè è impossibile conoscere tutte le leggi, sarà sempre possibile per gli ispettori di turno trovare un problema all’interno di qualsiasi azienda, in modo da poterla quantomeno multare, vessando il cittadino per nutrire la spaventosa idrovora della pubblica amministrazione. Ecco perchè qualsiasi imprenditore, anche quello più ligio, teme un controllo. Vuoi che non esista un decreto regio o una norma del ventennio fascista che non sia ancora in vigore? Certo che esistono. Nel 2021 il Sole 24Ore scrisse di 33mila regi decreti ancora in auge. Nel 2023 ne sono stati cancellati 3637 con 22.574 provvedimenti, compresi quelli sull’uso dei piccioni viaggiatori e la tassa sulle nozze notturne del 1877. Tu volevi fare il brillante, ti sposavi al chiaro di Luna. E vai a immaginare che ti saresti trovato un verbale dei vigili urbani.

 

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Edoardo Montolli

Edoardo Montolli, giornalista, è autore di diversi libri inchiesta molto discussi. Due li ha dedicati alla strage di Erba: Il grande abbaglio e L’enigma di Erba. Ne Il caso Genchi (Aliberti, 2009), tuttora spesso al centro delle cronache, ha raccontato diversi retroscena su casi politici e giudiziari degli ultimi vent'anni. Dal 1991 ha lavorato con decine di testate giornalistiche. Alla fine degli anni ’90 si occupa di realtà borderline per il mensile Maxim, di cui diviene inviato fino a quando Andrea Monti lo chiama come consulente per la cronaca nera a News Settimanale. Dalla fine del 2006 alla primavera 2012 dirige la collana di libri inchiesta Yahoopolis dell’editore Aliberti, portandolo alla ribalta nazionale con diversi titoli che scalano le classifiche, da I misteri dell’agenda rossa, di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti a Michael Jackson- troppo per una vita sola di Paolo Giovanazzi, o che vincono prestigiosi premi, come il Rosario Livatino per O mia bella madu’ndrina di Felice Manti e Antonino Monteleone. Ha pubblicato tre thriller, considerati tra i più neri dalla critica; Il Boia (Hobby & Work 2005/ Giallo Mondadori 2008), La ferocia del coniglio (Hobby & Work, 2007) e L’illusionista (Aliberti, 2010). Il suo ultimo libro è I diari di Falcone (Chiarelettere, 2018)

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