
Il ragionevole dubbio nei casi mediatici. Strage di Erba e Garlasco, errori giudiziari?
Ormai un po’ tutti abbiamo imparato a conoscere questo precetto del nostro ordinamento giudiziario.
Quando si frequentano le aule della facoltà di Giurisprudenza, ancora di più, la norma viene fatta incasellare nella nostra mente, tra quelle definizioni che non si possono dimenticare.
All’esame di procedura penale spesso viene richiesto di recitare il dispositivo all’art.533 cpp: “Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena e le eventuali misure di sicurezza“. Tale norma è stata così modificata nel febbraio del 2006.
Si rende necessario per il giudice, che pronuncia sentenza di condanna, avere la certezza di un alto grado di probabilità della colpevolezza dell’imputato e non un minimo dubbio. Deve essere evidente e accertato un nesso di causalità tra la condotta e l’evento, va da sé che una bassa probabilità del nesso causale non può essere sufficiente a condannare.
Da dove nasce tutto questo? Da un importante principio di diritto e, suggerirei, di vita: la cultura del dubbio.
Lo definirei come un metodo di valutazione che dovrebbe essere acquisito e fatto proprio da tutti.
Permette di sviluppare un profondo senso critico di fronte alle più svariate situazioni e consente di limitare il sentimento di onnipotenza e onniscienza, in cui troppo spesso si rischia di cadere.
La cultura del dubbio è pertanto fondamentale in ambito giuridico, in occasione della pronuncia di una sentenza di condanna e se il minimo dubbio contamina l’alto grado di probabilità di colpevolezza, è necessario assolvere.
Il tema si ricollega perfettamente allo scenario mediatico attuale, in cui assistiamo a un momento di straordinaria messa in discussione di alcune pronunce di condanna, date per definitive, ma che sotto sotto non hanno mai convinto pienamente l’opinione pubblica, giornalisti e una parte degli inquirenti.
Tra questi il caso Garlasco in cui perse la vita la giovane Chiara Poggi (13/8/2007) e fu condannato il fidanzato Alberto Stasi. La condanna arrivò solo dopo le assoluzioni, in primo grado e appello, sentenze ribaltate in Cassazione, che rinviò a giudizio. Si arrivò così alla sentenza definitiva, a 16 anni di carcere.
Certo, l’iter è apparso a molti alquanto particolare e dubbio.
Il team della difesa ha continuato a battere su quei dettagli non approfonditi e messi da parte perché, a detta dei giudici, non rilevanti o non interessanti. Ecco che oggi però la procura decide di far procedere con l’analisi di reperti considerati nuovi e da cui si possono avere delle risposte non cercate prima. Cosa sta succedendo? Perché se tanti dubbi già esistevano e due giudici avevano già assolto l’imputato, non si è continuato a battere la strada per confutare ogni minima incertezza?
E’ veramente più importante dare all’opinione pubblica un colpevole non certo, ma a tutti i costi, e lasciare un probabile assassino in libertà?
Allo stesso modo il caso La Strage di Erba (11/12/2006), per cui siamo in attesa della pronuncia della Cassazione prevista per il 25 marzo, è un esempio di giustizia non completamente ottenuta.
In molti si battono da anni per ottenere delle risposte su dubbi e domande lecite, che vengono proposte, ma non chiarite nelle sedi opportune. In occasione della richiesta di revisione, in cui sono state prodotte nuove prove supportate da perizie firmate da illustri professionisti – di fama nazionale e internazionale – i giudici si sono limitati a rigettare l’esame di tali evidenze sostenendo che siano elementi non interessanti e per nulla nuovi.
Non hanno consentito così il formarsi della prova in contraddittorio, ma hanno rigettato entrando nel merito ancora prima di arrivare nella sede opportuna. Il lavoro di informazione di molti giornalisti, per fortuna, sta portando alla luce come tale conclusione sia opinabili e non condivisibile. Il dubbio persiste e al momento non è stato confutato.
Il problema poi si riversa su un’altra triste realtà: errori giudiziari e ingiuste detenzioni.
Le pronunce dei giudici che condannano persone a pene indeterminate o di durata più o meno lunga, segnano un destino drammatico e a volte irreversibile per quegli innocenti che si ritrovano incastrati in un meccanismo complesso e cavilloso. Troppe sono le situazioni di questo tipo ancora oggi e troppe le vite distrutte. Vite che non potranno mai recuperare il tempo trascorso in carcere, lontano dagli affetti senza una ragione. L’unico motivo per cui finiscono dietro le sbarre è dato da un dubbio non sviscerato sulla loro condotta e la necessità di avere un colpevole. Come possiamo fidarci di questa giustizia? E’ quella in cui veramente vogliamo credere? Non credo.
La fiducia nella Giustizia non deve mai venire meno e la ricerca della verità, in casi come questi, deve essere un lavoro che unisce per un unico comune obiettivo.
A due mesi dalla proposta di legge “Proposta di legge Zuncheddu e altri per vittime di giustizia“, ho intervistato la dott.ssa Irene Testa, garante dei detenuti Regione Sardegna. In questa bella occasione abbiamo parlato di carcere e spiegato cosa si vuole fare per le vittime di giustizia.
Quando la persona torna libera passano anni prima che ottenga un risarcimento, sempre che ci riesca.
In questo trascorrere del tempo, che si somma al tempo di vita perso in prigione, può avvenire di tutto, anche la morte.
E’ giusto quindi che una vittima del sistema debba ritrovarsi senza nulla dopo un’ingiusta condanna, debba ricominciare da capo senza niente e a volte senza una famiglia?
Lo Stato non può permettere in questi casi che la persona, per sopravvivere, possa scegliere di delinquere o diventare un senza fissa dimora.
Ecco che la proposta di legge avanza l’introduzione di un assegno di mantenimento dal momento del ritorno in libertà e fino a quando non sia approvato il risarcimento.
Un atto dovuto per chi ha perso tutto.
Di seguito il link per ascoltare l’intervista e altre testimonianze di vittime di giustizia.
Beniamino Zuncheddu, un clamoroso errore giudiziario. Interviene Irene Testa
Qui il link dove poter leggere e firmare la Proposta di legge Zuncheddu e altri per vittime di giustizia
Il libro L’erba dei vicini. Evoluzione di un’indagine di Martina Piazza – guarda
Il canale Youtube Martina Piazza Crime Blog – guarda