Partiamo da una premessa: il nuovo film diretto da Gabriele Salvatores “Napoli-New York” è un capolavoro.
Insidiandosi su una sceneggiatura di Federico Fellini rimasta nascosta per decenni in un baule il regista napoletano, già premio Oscar per il memorabile Mediterraneo, trascina lo spettatore in un’avventura sincera e spietata che parte dal capoluogo campano fino a raggiungere il sogno americano così decantato da mille libri da apparire quasi credibile.
In realtà la vicenda, ambientata nel dopoguerra, rivela le sfaccettature di un contesto che si dirama tra il lusso e la miseria. Tra la prima e la terza classe.
I protagonisti sono principalmente tre: Celestina, Carmine ed il commissario di bordo Domenico Garofalo. I primi due, interpretati magnificamente dai giovanissimi Dea Lanzaro e Antonio Guerra, interpretano due amici che rimasti soli s’imbarcano clandestinamente su una nave diretta, appunto, negli Stati Uniti.
I vicoli di Napoli appaiono soffocanti ai due giovani orfani costretti a rubare e ad elemosinare un pezzo di pane. L’America è il paradiso di melassa che li attende al di là dell’oceano.
La nave rappresenta per certi versi il passaggio di Caronte attraverso l’inferno di un’esistenza senza speranza, masticata e sputata sulla porta di un sogno apparentemente irraggiungibile.
Il commissario di bordo della nave Garofalo, l’ormai inqualificabile Favino, scopre i due giovani clandestini, li protegge dalle regole del mare e prova a suo modo a costruire attorno a loro quel sogno che si scontra con la dura realtà.
La sua, fatta di laceranti rinunce, e quella degli americani, tra razzismo e opportunismo.
I ragazzini, spalleggiati dal cuoco della nave George, si ritrovano infine nell’incantevole New York. Le luci, i grattaceli, il successo a portata di tutti.
Ma è l’America dei neri e degli italiani che puzzano, che rubano, che stuprano. E’ l’America del giornalismo spregiudicato, senza morale. E’ l’America delle condanne a morte, del maschilismo, dell’opportunismo per fare carriera, o per salvarla.
La regia di Salvatores è gelida, virtuosa e non scende mai a compromessi. Si sofferma sui sogni e li disfa con un primo piano impietoso. Si schiera e si arrende ad intermittenza per affidare allo spettatore il malessere che intende trasmettere.
Pierfrancesco Favino è la figura che apre le braccia e protegge i due giovani avventurieri dalle ipocrisie del nuovo mondo tanto bramato. Sorride sotto i baffi con impareggiabile maestria e sembra sempre dondolare sul filo del suo personale miraggio e la realtà. E’ l’attore più straordinario dei nostri tempi e non serve altro che la sua presenza per riuscire a dar vita ad un eroe.
Gli attori Antonio Catania (il giornalista senza scrupoli) e Omar Benson Miller (il cuoco) sono formidabili a nascondere le debolezze, ad esibirle, a sfruttarle. Sono le imprevedibili mine vaganti.
Infine i due giovani protagonisti, Dea ed Antonio. Sono le grandi promesse del cinema italiano. Se lui, più grande, sa come prendersi cura dello schermo e gestire quasi da attore navigato ogni espressione atta a suscitare nello spettatore un’emozione, lei è semplicemente la reincarnazione di Anna Magnani.
Alex Rebatto