Nell’Occidente dove si blatera di diritti universali, la Francia sta mettendo in piedi una nuova legge sui migranti (la seconda in un anno) per estendere il periodo di detenzione degli irregolari da 90 a 210 giorni. Non esclude inoltre la fine dell’automatismo dello ius soli e delle regolarizzazioni per lavoro oltre alla restrizione dei ricongiungimenti famigliari, prima causa dell’immigrazione nel Paese da mezzo secolo a questa parte.
La Germania si è isolata da settembre, blindando i confini con Polonia, Repubblica Ceca, Austria e Svizzera, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Belgio e Danimarca. E, fuori dall’Ue, la Gran Bretagna ha bloccato a luglio la deportazione dei migranti in Ruanda – membro del Commonwealth – voluta dall’ex premier Rishi Sunak e la cui operazione era costata 300 milioni di sterline. Il motivo? La bocciatura del piano da parte della Corte Suprema e la condanna da parte della Corte di Strasburgo per i diritti dell’Uomo, da cui però, adesso, più di qualcuno minaccia di uscire per poter riprendere le espulsioni. Ognuno, insomma, al di là delle belle parole, pensa a risolvere il proprio problema.
Nel sud del Continente va invece diversamente. Ovvero all’insegna dell’arrangiatevi. Qui, infatti, non si possono blindare i confini e ciclicamente, a seconda delle rotte via mare, transitano i maggiori flussi migratori, in una sorta di roulette dove il primo Paese di approdo si sobbarca tutti gli oneri. Se quest’anno, ad esempio – dati del Viminale – c’è stato un calo drastico di arrivi dal Mediterraneo centrale (-64%) e dalla rotta balcanica (-74%) in Italia, contestualmente si è verificato un enorme aumento di sbarchi in Spagna (+153%) e Grecia (+57%). Il pugno duro non è pensabile e gli altri Paesi dell’Ue, chiusi nei loro recinti, vincono facilmente al gioco dell’indignazione quando lo si usa. Peraltro non c’è soltanto il diritto del mare ad obbligare all’accoglienza, o la Cedu. C’è pure altro.
Da qualche tempo un manipolo di extracomunitari viene infatti portato avanti e indietro dall’Italia all’Albania, dopo l’accordo siglato da Giorgia Meloni con i vertici di Tirana. Erano stati realizzati due centri per 800 milioni di euro. Ma i giudici hanno imposto l’alt, sottoponendo il decreto del governo sui “Paesi sicuri” alla Corte di Giustizia europea. La decisione ha provocato perfino l’intervento di Elon Musk su X: «Questi giudici devono andarsene». Ma tant’è. Il 20 dicembre è poi attesa la sentenza sul vicepremier Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per avere impedito per cinque giorni nell’agosto del 2019 lo sbarco di 147 migranti a bordo della ong spagnola Open Arms. Rischia 6 anni di carcere. Fermare i flussi sembra impossibile. I respingimenti e i blocchi navali sono da escludere, se si vuole evitare ciò che avvenne nel 1997, quando, sotto il governo Prodi, si verificò la cosiddetta “tragedia del venerdì Santo”: la Katër i Radës, imbarcazione usata dagli scafisti per trasportare i clandestini, finì speronata da una corvetta italiana. E morirono 81 persone.
La questione, normative alla mano, non presenta dunque alcun tipo di soluzione. E viene usata come arma di battaglia politica a seconda di come tira il vento, chiudendo gli occhi di fronte alla totale assenza di politiche dell’accoglienza e alle periferie invase da disperati senza alcuna alternativa che la strada. Ma buttarla sull’ideologia appare oggi più ridicolo che mai. Basti vedere quanto sta accadendo negli Stati Uniti, dove, senza alcun senso della vergogna, i democratici puntano l’indice contro Donald Trump, che ha annunciato di voler espellere 11 milioni di irregolari, tra cui 4 milioni di bambini. Peccato che il tycoon abbia chiamato ad assolvere al compito Thomas Homan, l’uomo che nel 2013 prese la guida dell’Ice, l’agenzia americana per l’Immigrazione e il rafforzamento delle dogane. Homan arrivò a rimpatriare ben 5,2 milioni di persone in otto anni, separando i bambini dai genitori in nome della tolleranza zero. Il presidente che lo aveva incaricato e sotto cui avvenne la mostruosa deportazione di massa era il più amato dai democratici e dalle sinistre contemporanee, ossia il Nobel per la pace Barack Obama. Il quale premiò Homan per i risultati ottenuti con il Presidential Rank Award, onorificenza prevista per i servitori dello Stato.