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Chi paga davvero le tasse in Italia? Leggende da smitizzare

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Secondo il Report di Itinerari previdenziali, presentato alla Camera sulla base delle dichiarazioni dei redditi riferite al 2022, meno della metà degli italiani dichiara redditi per almeno 20 mila euro l’anno. E la maggior parte dell’Irpef viene versata da chi guadagna oltre 35 mila euro: 6,4 milioni di persone che versano il 63,4% dell’imposta. Mentre, recita la relazione «il 75,80% dei contribuenti dichiara redditi da zero fino a 29mila euro, corrispondendo solo il 24,43% di tutta l’Irpef, un’imposta neppure sufficiente a coprire la spesa sanitaria».

Secondo il presidente di Itinerari previdenziali, Alberto Brambilla, l’Italia è uno Stato «con una forte redistribuzione principalmente a carico dei redditi sopra i 35mila euro lordi l’anno, che peraltro non beneficiano, se non marginalmente, di bonus, sgravi e agevolazioni, in assenza di controlli su una spesa assistenziale che cresce a tassi doppi rispetto a quella previdenziale».

Vale a questo punto la pena fare un’ulteriore considerazione, che sempre sfugge agli economisti da salotto della carta stampata: 35 mila euro da lavoro dipendente sono il reddito di una persona benestante. Mentre 35 mila euro equivalgono alla soglia di sopravvivenza per i lavoratori autonomi che, giusto per ricordarlo, non godono di alcuna tutela: malattia, permessi, ferie, tfr, tredicesime o quattordicesime. In diversi casi, manco l’assegno unico (peraltro introdotto soltanto nel 2022). Non staremo a tediarvi sulle infinite ragioni delle enormi differenze tra i due redditi apparentemente identici.

Ci limiteremo a segnalare che la Cgia di Mestre ha pure smentito la leggenda secondo la quale i dipendenti paghino più tasse: «Tra i 10 mila di reddito fino a 55 mila euro, gli autonomi pagano sempre molto più di impiegati e operai, con punte tra i 3.760 e i 3.875 euro all’anno nella fascia di reddito tra i 25 e i 30 mila euro, prelievo aggiuntivo che sale attorno ai 4.200 euro con redditi tra i 15 e i 20 mila euro. Se, poi, il confronto lo facciamo tra i dipendenti e i lavoratori autonomi che non applicano la flat tax, il maggior prelievo in capo a questi ultimi aumenta a dismisura, con punte, tra i 60 e i 65 mila euro di reddito, di oltre 6 mila euro all’anno». Senza contare che chi decide di utilizzare la flat tax non può scaricare alcun costo.

Sicchè, per gli autonomi, quei 35 mila euro con cui devono sorreggere il Paese, pesano come un macigno. A maggior ragione se si pensa, come tutti in realtà sanno, che la gran parte delle partite iva sono falsi imprenditori, ovvero persone costrette ad aprirla per lavorare come dipendenti, ma senza tutele. Quando infatti si vedono veri imprenditori che dichiarano meno dei loro dipendenti o che fanno una vita agiata sotto gli occhi di tutti pur dichiarando una miseria, è perchè costoro possono usufruire alla grande dei benefici delle “spese fiscali”: 625, il numero più alto tra i Paesi Ocse, divise tra esenzioni, deduzioni, detrazioni, crediti e altre centinaia di voci. Ma appunto, se si chiamano “spese fiscali” la condizione primaria è che tu possa spendere: è dunque lo Stato a consentire ai più ricchi di dichiarare meno strozzando i poveri. E l’evasione fiscale non c’entra nulla.

È lo Stato che consente di certificare come mezzi aziendali vetture di ogni genere e un’infinita serie di acquisti sotto la voce «strumenti di lavoro». O che, in un Paese dove c’è l’obbligo di assistenza sanitaria, permette di portare in deduzione i fondi sanitari integrativi. Lo stesso vale per le assicurazioni sulla vita, i contributi per colf e baby sitter o la detrazione per i soldi spesi per l’istruzione privata, solo per fare alcuni esempi: tutte cose non necessarie a sopravvivere, assolutamente consentite, ma che si possono permettere solo coloro (tra gli autonomi) che guadagnano ben oltre i 35 mila euro l’anno. Potremmo scrivere all’infinito del sistema fiscale più schizofrenico del mondo, dove gli evasori diventano quelli che non possono fisicamente pagare e dove sono tutelati, a norma di legge, i paperoni (compresi quelli stranieri per i quali siamo diventati un paradiso fiscale). Perchè, ad esempio, ai produttori di film deve essere riconosciuto tra il 15 e il 40% del costo dell’opera? In teoria, se il film piace guadagni, se no chiudi. Si chiama rischio d’impresa.

Ma questo rischio vale soltanto per chi i soldi non li ha e che pure deve reggere le sorti dello Stivale: i 4 milioni di partite iva che quando dichiarano 35 mila euro, lo fanno al massimo scaricando i costi di benzina, luce, telefono e gas. In una vita soffocata, con un’auto con cui, ogni due per tre, non possono circolare per i demenziali divieti green. Con l’Agenzia della Riscossione perennemente alla porta. E la cui unica ancora di salvezza è costituita dall’essere nullatenenti.

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