Nel precedente video dal titolo “Le menzogne di Giancarlo Lotti” il giallista Rino Casazza e l’apprezzato “mostrologo” Antonio Segnini ritengono di aver dimostrato che la “super testimonianza” di Giancarlo Lotti al processo sui “compagni di merende” doveva essere considerata falsa invece di costituire il fondamento della condanna di Lotti stesso, Mario Vanni e implicitamente Pietro Pacciani quali autori degli ultimi quattro delitti del Mostro di Firenze.
In particolare quella di Lotti, trattandosi a tutti gli effetti di una “collaborazione di giustizia” da parte di un reo confesso che chiama di correità altri soggetti, avrebbe dovuto:
– essere riscontrata da altre fonti di prova, che invece mancano;
– essere coerente e lineare nella sua esposizione. Invece è costellata di incongruenze e palesi difformità rispetto molte evidenze acclarate nell’analisi delle scene criminis.
In questo video (in cima al post) Casazza e Segnini entrano nel vivo della questione, cercando di spiegare perché Lotti abbia mentito.
A tal riguardo, esistono sostanzialmente tre possibilità:
1) quella sostenuta nelle motivazioni delle sentenze, secondo cui essendo Lotti un soggetto di scarsa istruzione, limitate capacità espressive (indicativo a tal riguardo il ricorrente uso dei termini “cosa” e “cosare” non trovando nomi e verbi appropriati) e modestissima intelligenza, i suoi frequenti errori sono la cartina di tornasole della sua sostanziale genuinità;
2) quella sostenuta da quanti considerano Lotti del tutto estraneo ai delitti del Mostro, secondo cui l’uomo, traendo dallo status di pentito vantaggi economici e sociali enormi per uno sbandato come lui, ha voluto soddisfare le aspettative degli inquirenti “incastrando” Pietro Pacciani e di conseguenza anche Vanni ma, per i limiti personali indicati al punto 1) non è riuscito a raccontare i fatti, non vissuti di persona, in modo credibile e convincente;
3) quella sostenuta da Segnini, nota e controversa, ma comunque ben argomentata e documentata, secondo cui essendo Lotti l’unico Mostro, ha cercato di barcamenarsi nell’intento di minimizzare il proprio coinvolgimento diretto senza curarsi della coerenza dei suoi racconti.
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