Dopo aver giurato solennemente che l’epoca dei demenziali, discriminatori e inutili bonus cominciati nell’era buia degli esecutivi Conte era finita, il governo ha deciso di chiudere l’anno in grande spolvero con l’ennesimo bonus. Ovviamente demenziale, discriminatorio e inutile come tutti gli altri. In un Paese dove non si sposa più nessuno e dove l’Istat riportava che già dal 2016 i giovani preferivano la convivenza al matrimonio, ecco la geniale idea di Palazzo di un bonus in tredicesima da 100 euro alle sole coppie sposate con figli.
Al Corriere della Sera che chiedeva lumi, il viceministro dell’economia Maurizio Leo ha risposto che alcune coppie di fatto ne avranno comunque diritto. Quali? «Laddove c’è la cosiddetta mancanza del coniuge». Pensavamo fosse uno scherzo. Invece anche il quotidiano di via Solferino l’ha interpretato come noi «i genitori single, oppure quando l’altro genitore è “mancante”, cioè è deceduto, non ha riconosciuto il figlio naturale, a prescindere dalla nuova situazione familiare». Quindi è proprio una presa in giro, dato che in nessuna di queste situazioni si può parlare di «coppia» a meno che non abbiano deciso, Lorsignori, di mettere mano al vocabolario, com’è d’uso di questi tempi. Sicchè, dell’elemosina natalizia beneficeranno un milione di famiglie disagiate, a fronte (dati Istat) di 25 milioni e 600 mila nuclei famigliari: pensa che manna per il Paese.
Quella che in bozza sembra l’ennesima pagliacciata a beneficio della famiglia tradizionale – non esattamente tipica, peraltro, degli esponenti della maggioranza – nasconde però qualcosa di un po’ più sinistro. E cioè dovrà essere il lavoratore a chiedere il bonus. Ne hanno diritto i dipendenti con redditi che vanno tra 8.500 e 28 mila euro annui e almeno un figlio a carico. A una condizione, testualmente, fonte sempre Corriere: «Imposta lorda determinata sui redditi da lavoro dipendente d’importo superiore a quello delle detrazioni spettanti. Non spetta quindi il bonus nei casi in cui le detrazioni previste già abbattono l’imposta dovuta».
Già questa frase intaserà i patronati di lunghissime code di gente che chiederà se potrà beneficiare della mancia o meno. In ogni caso, che chieda o meno il supporto degli enti preposti, per avere il bonus il dipendente dovrà sottoscrivere al proprio datore di lavoro di essere in possesso dei requisiti. Sicchè, è facile immaginare, una buona fetta dei 100 milioni prevista non sarà spesa: vuoi per chi, non potendo far code, non vorrà rischiare di dover restituire l’esigua cifra. Vuoi per chi, non avendone diritto, sottoscriverà di poterlo percepire e sarà chiamato più avanti a rendere il «bottino»: naturalmente, come sempre accade, con qualche balzello in più.
Ma perchè scriviamo che si tratta di un dettaglio «sinistro»? Per una ragione molto semplice. Com’è noto, ormai, tutte le nostre banche dati sono serenamente visibili dall’Agenzia delle Entrate. Lo rese possibile nel 2021 il Decreto Capienze, grazie al quale la pubblica amministrazione non deve più chiedere autorizzazioni al Garante per trattare i nostri dati personali. In sostanza, lo Stato sa già chi ha diritto e chi no al bonus. Non bastasse, i dipendenti che hanno figli e guadagnano fino a 28 mila euro, ossia coloro che (se sposati, single o vedovi) sono i beneficiari della misura, certamente annualmente stilano l’Isee per avere accesso all’assegno unico. Dunque, ci sono infiniti modi perchè tale bonus, inutile e discriminatorio, sia assegnato d’ufficio dal governo, vedendo subito (e con controllando dopo) la platea cui consegnare l’obolo. E non c’è alcun bisogno, per contro, che sia il lavoratore a chiederlo, facendosi la coda ai patronati per capire se ne abbia diritto e dovendo eventualmente restituire il bonus con gli interessi qualche mese più avanti.
E allora perché escogitare l’ennesimo sistema macchinoso per mettere gli italiani ancora più in difficoltà? Non sarà che serva un domani a far dire al governo di aver già speso 100 milioni per il sociale, quando magari ne ha materialmente tirati fuori solo, per dire, 50? Che so, magari in risposta ad un altro alluvionato che si lamenterà di aver preso, a fronte dei 30 mila richiesti, 14 euro di risarcimento. Anzi meno: 13,87. Manco il costo delle spese della domanda.