Sul numero di Cronaca Vera in edicola questa settimana compare una mia intervista a Claudia Lobina, una giovane investigatrice e criminologa che, 12 anni fa, nella sua tesi di laurea in Scienze dell’Investigazione, scoprì le gravi deficienze nel processo a carico di Beniamino Zuncheddu che avevano portato all’ingiustificata condanna all’ergastolo dell’imputato per la “strage di Sinnai”.
Quest’anno anche la magistratura si è accorta dell’errore, prosciogliendo Zuncheddu da ogni accusa nel giudizio di revisione del giudicato.
L’uomo è rimasto in carcere, innocente, per ben 33 anni.
Sul canale youtube di Fronte del Blog nel mese di settembre è comparsa una conversazione in video con Claudia Lobina, che illustra in dettaglio il clamoroso caso.
Il titolo del video è “PARLA CLAUDIA LOBINA. LE VERITA’ NASCOSTE DEL CASO ZUNCHEDDU” (vedi anche sotto).
UN CASO CHE ANDAVA RISOLTO PRIMA
Da Cronaca Vera del 18 settembre 24:La giovane criminologa Claudia Lobina, collaboratrice di agenzie investigative e specializzanda in mediazione penale, ha dato prova di una lungimiranza davvero rimarchevole. Dodici anni fa stava completando il corso di laurea in Scienze Investigative presso l’università di Cagliari, e come argomento della tesi aveva scelto la “strage di “Sinnai”, un fatto di sangue avvenuto in Sardegna nel gennaio del 1991. Nell’ esaminare gli atti dell’inchiesta e del processo si era accorta che la condanna all’ergastolo del colpevole, Beniamino Zuncheddu, poggiava su basi fragili e contraddittorie, tanto da doversi concludere che l’uomo, al tempo in carcere da oltre vent’anni, era da assolvere.
Sono trascorsi altri dodici anni finché, nel febbraio del 2024, al termine di un giudizio di revisione, la Corte di Appello di Cagliari, dando ragione a Claudia, ha effettivamente revocato la condanna di Zuncheddu, rimettendolo, sia pur tardivamente, in libertà.In cosa è consistita la “strage di Sinnai” e come Zuncheddu ne è divenuto imputato?
Nel tardo pomeriggio dell’8 gennaio del 1991 nel comune di Sinnai, nel cagliaritano, uno sconosciuto uccise a colpi di fucile due pastori, padre e figlio, e un loro dipendente. Il genero del capofamiglia rimase solo ferito perché l’assassino, dopo aver sparato anche a lui, si allontanò credendolo morto. Le prime indagini seguirono due direzioni, quella di un regolamento di conti nell’ambito di un sequestro di persona recentemente avvenuto in zona, e quella di una vendetta scatenata da liti di confine tra pastori.
Zuncheddu entrò nel mirino degli inquirenti, in particolare di un carabiniere, perché tempo prima era stato udito lanciare una minaccia nei confronti di una delle vittime che si era messo a sparare sul bestiame altrui sconfinato nel suo terreno.
A inchiodare Zuncheddu fu soprattutto la testimonianza dello scampato, che si decise a sostenere di averlo riconosciuto dopo aver in un primo tempo, a suo dire, taciuto per paura.
Invano Zuncheddu portò come alibi testimonianze di parenti e amici che lo collocavano in tutt’altro posto mentre si consumava la strage. Furono giudicate credibili dal giudice solo le dichiarazioni di alcune persone che l’avevano incontrato presso il suo paese, Burcei, prima e dopo il triplice delitto. Tuttavia un esperimento consistente nel ripetere il supposto tragitto di andata e ritorno effettuato in moto dall’imputato tra Burcei e Sinnai parve dimostrare che Zuncheddu aveva avuto il tempo per commettere la strage. Inascoltata anche l’obiezione che una malformazione congenita impediva a Zuncheddu di imbracciare il fucile nel modo descritto dal testimone d’accusa. Che cosa secondo te non tornava nell’impianto accusatorio?
In primo luogo, a parte la frase polemica indirizzata da Zuncheddu a una delle future vittime, peraltro ben due anni prima, il condannato risultava persona pacifica senza alcun interesse nella pastorizia, che praticava occasionalmente per dare una mano ai parenti.
Poi, era discutibile che, da un lato, si rigettassero le chiare testimonianze che fornivano un alibi allo Zuncheddu solo perché rese da soggetti imparentati con lui, mentre dall’altro si riteneva attendibile la testimonianza del sopravvissuto nonostante fosse frutto di una ritrattazione e ci fossero seri dubbi che il testimone fosse in grado di riconoscere l’aggressore stante il buio serale, la concitazione del momento e lo stress emotivo in cui si trovava sotto la minaccia del fucile.
Per quanto riguardava l’esperimento con la moto, era evidente che, essendosi svolto in autunno, non riproduceva esattamente le condizioni del gennaio 1991, con le strade dissestate dal maltempo invernale. Inoltre il veicolo utilizzato era molto più veloce di quello in possesso a Zuncheddu.
Non condivisibile nemmeno trascurare le accertate difficoltà fisiche dell’imputato a imbracciare l’arma. La tua tesi, ora pubblicata, non ha avuto seguito al tempo?
Un mio illustre docente, il giudice Ferdinando Imposimato, condivideva la mia analisi ed era in procinto di intraprendere un’inziativa per la revisione, ma purtroppo nel frattempo è venuto a mancare.In base a che elementi il giudice della revisione ha assolto Zuncheddu?
Decisiva è stata una intercettazione in cui il testimone chiave confermava che, prima del riconoscimento di Zuncheddu, gli era stata mostrata una foto di costui, evidentemente condizionandolo. Importante anche un’innovativa dimostrazione, da parte di una scuola delle forze dell’ordine, attraverso la simulazione tridimensionale del luogo del crimine, che senza luce, al crepuscolo, il sopravvissuto, dal punto in cui si trovava rannicchiato non poteva vedere in faccia l’assassino. Adesso Zuncheddu dovrà essere risarcito.
Speriamo che sul riconoscimento di un congruo indennizzo non influisca il fatto che, a sorpresa, inusualmente il giudice ha motivato l’assoluzione con l’insufficienza di prove, anche se questa equivale a tutti gli effetti a un’assoluzione piena.Rino Casazza
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