In provincia di Latina, realtà notoriamente tollerante e conciliante nei confronti delle minoranze etniche, degli omosessuali e delle religioni altrui, una scuola elementare si è vista decimata dalla decisione dei genitori di alcuni alunni ritrovatisi loro malgrado a condividere il banco con albanesi, indiani e pakistani.
“Una presenza esuberante di stranieri”, si è lamentata una madre dopo aver deciso di iscrivere il figlio in un’altra scuola.
“Una situazione temporanea”, ha sottolineato l’ufficio scolastico regionale. “Garantiremo una equa distribuzione degli studenti.”
Una equa distribuzione degli studenti.
Un negro nella sezione A. Un frocio nella C. Un mussulmano nella D.
I bambini che, primi libri nella cartella, si erano approcciati ad affrontare una nuova avventura, probabilmente neppure si erano resi conto del colore della pelle diverso dei nuovi compagni. Probabilmente si spiegavano a gesti. Ed era normale.
La lingua differente non è un limite, ma un’opportunità.
Le esperienze diverse non sono un ostacolo, ma un pretesto per poter crescere.
Non esiste un solo bambino al mondo che sappia il significato della parola “razzismo”. Non esiste un solo bambino al mondo che si soffermi su un colore della pelle diverso dal suo.
I genitori di Latina hanno probabilmente pensato: l’ostacolo della lingua porterà ad un rallentamento del percorso di studio e costringerà i nostri figli ad aspettare che tutti siano allo stesso livello. Un’ intollerabile perdita di tempo.
Premesso che, intimamente, avrei voluto vedere ognuno di loro alle prese con un’analisi logica, con una sinossi o con un esame sommario sulla storia dell’Italia.
Ma il razzismo è un serpente verde che scivola tra i macchinari delle fabbriche, si attorciglia ai semafori e s’insinua nelle scuole accomodandosi, in attesa, sotto i banchi.
E’ giusto che i bambini debbano conoscere la geometria, il triangolo, il rettangolo. E’ giusto che conoscano i sumeri e gli egizi. Che conoscano l’aritmetica, le invenzioni, l’impero romano.
E’ giusto che imparino l’inglese, ma anche l’italiano.
E’ giusto che imparino i confini dell’Italia ma anche quelli della Spagna, e della Germania.
E dell’Albania. E dell’India.
E’ giusto che i maestri insegnino i capoluoghi, le province, i fiumi e i laghi.
Ed è giusto che gli albanesi, gli indiani, i pakistani, i senegalesi e i rumeni insegnino agli studenti italiani che al mondo non esiste solo il Lago Maggiore e il Tevere. E’ giusto che possano condividere la loro cultura ed assimilare la nostra.
Condividere la loro cultura ed assimilare la nostra.
E vaffanculo alla squola che rallenta, al Po’ e a Giacomo Ungaretti.
Ci mancheranno due lauree nel curriculum, ma forse ci risparmieremo altrettante guerre.
Alex Rebatto