Toccherà ai pensionati far fronte ai debiti del Pnrr e al debito pubblico: stanno diventando più dei lavoratori, che guadagnano meno del 1990
Quando sarà passata la demenziale euforia per i prestiti del Pnrr sarà probabilmente troppo tardi. L’Italia ha chiesto 122 miliardi, di gran lunga più di chiunque l’altro (al secondo posto c’è la Romania con 15, nessun Paese occidentale ha chiesto niente a parte i soldi a fondo perduto). E non c’è da stupirsi che in Ue tutti premano per la nostra ratifica del Mes, perchè tanto il denaro ricevuto non saremo mai in grado di restituirlo e dovremo essere i primi a dover azionare il meccanismo salvastati. Il meccanismo, per essere chiari, che è un viaggio in prima fila per la Grecia devastata di qualche anno fa: solo, dati i nostri conti, molto meno felice.
Gli ultimi dati dell’Istat costituiscono un ulteriore calcio nei denti alle potenzialità del Belpaese: il calo di fatturato dell’industria è del 3,7% per valore e del 3,3% per volume su base annua. Chi ne fa le spese in particolare è il mercato in cui l’Italia era più forte prima dell’ideologia green: quello delle auto, dal commercio all’ingrosso alla riparazione. Le ore di cassa integrazione a luglio hanno avuto un’impennata di richieste: +28%. Nonostante questo, l’occupazione cresce (+56mila) ma meno di chi un lavoro non lo cerca manco più (+73mila) stanco probabilmente di prendere elemosine al posto di stipendi. Il tutto mentre ad agosto sono saliti ancora dell’1,1% i prezzi al consumo e, com’è noto, i poveri assoluti sono ormai 6 milioni.
Sicchè, quando i nodi verranno al pettine e dovremo rimborsare il Pnrr, il governo con ogni probabilità inventerà nuove tasse e continuerà a stringere le maglie della Riscossione. Tuttavia, gli esattori delle Entrate si troveranno di fronte, a breve, un ulteriore problema non da poco: i lavoratori da spremere stanno diventando addirittura meno dei pensionati. Nel Mezzogiorno è già realtà, come evidenzia un’analisi dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, che ha elaborato i dati dell’Inps e dell’Istat. E nel giro di qualche anno si prevede che lo stesso sorpasso avverrà nel resto dello Stivale, dato che entro il 2028 2,9 milioni di persone andranno in pensione, 2,1 dei quali nel centro Nord: gli ultimi numeri, sul 2022, davano infatti 23,1 milioni di occupati a fronte di 22,8 milioni di pensionati. E i ricambi mancano.
A Lecce lo squilibrio vede già in testa i pensionati: 97 mila in più degli altri. Seguono Napoli, Messina, Reggio Calabria e Palermo. E anche in 11 province del nord i pensionati superano stipendiati e autonomi: Sondrio (saldo pari a -1.000), Gorizia (-2mila), Imperia (-4mila), La Spezia (-6mila), Vercelli (-8mila), Rovigo (-9mila), Savona (-12mila), Biella (-13mila), Alessandria (-13mila), Ferrara (-15mila) e Genova (-20mila).
Ora, non è che si può risanare la situazione mandando in pensione la gente a 80 anni, pure se pare questa la tendenza. Però vale la pena riflettere sui dati degli osservatori dell’Inps: ci sono 157 mila persone che prendono la pensione di vecchiaia o anticipata da almeno 40 anni, e cioè dal lontano 1984: 95.045 nel settore privato e 62.034 in quello pubblico. Addirittura 18.717 nel settore privato la prendono da prima del 1980, con un assegno medio di 1020 euro. E nel settore pubblico sono invece 13.311, ma con un assegno medio di 1.607 euro al mese: erano gli anni, lo ricorderanno i più grandi, delle baby pensioni, quando chi lavorava nel pubblico si aggiudicava il vitalizio con 20 anni di carriera o addirittura con 14 anni, sei mesi e un giorno se si era una donna sposata con figli.
Una politica folle e clientelare, che portò alla corsa al posto fisso e di cui stiamo per pagare il conto: perchè presto se ogni lavoratore dovrà versare i contributi per pagare più di un pensionato, significherà o che la sua busta paga sarà ancora più ridotta o che l’imprenditore prevederà uno stipendio lordo molto più basso, essendo sempre quest’ultimo il vero tartassato dall’erario.
Ma noi già abbiamo gli stipendi più bassi del 1990. Il valore dell’industria seguita a diminuire. E le tasse ci strozzano. Nonostante queste, il debito pubblico sale incessantemente come una marea: 2.949 miliardi di euro a giugno, 99 in più dell’anno precedente.
Ora, la domanda è semplice: se domani i pensionati saranno addirittura ovunque di più dei lavoratori, che guadagnano e guadagneranno sempre meno, e non siamo in grado nemmeno di arginare il debito pubblico con una delle tassazioni più alte del mondo, chi ripagherà domani i prestiti del Pnrr?