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Mostro di Firenze, parla Antonio Segnini: “La soluzione giallo è in un’impronta di Vicchio”

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Sul numero di Cronaca Vera in edicola questa settimana compare una mia intervista al “mostrologo” Antonio Segnini, che riprende l’argomento delle impronte digitali, appartenenti a un soggetto sconosciuto che verosimilmente potrebbe essere l’assassino, repertate sull’automobile delle vittime del delitto commesso dal Mostro di Firenze a Vicchio nel 1984 .

L’intervista dà contro di un’iniziativa concreta intrapresa da Segnini nei confronti della magistratura fiorentina per promuovere una compiuta analisi di una delle predette impronte, che può portare importanti elementi nuovi nell’inchiesta sul Mostro.

Sul canale youtube di Fronte del Blog nel mese di agosto era comparsa una conversazione in video con Segnini  che, oltre a trattare il tema oggetto dell’intervista, allargava il discorso in generale alle prove scientifiche utilizzabili per fare chiarezza sul caso del “serial killer delle coppiette”.
Il titolo del video è “PARLA ANTONIO SEGNINI. LE PROVE SCIENTIFICHE CHE INCASTRANO IL MOSTRO” (vedi anche sotto).

UN’IMPRONTA INCASTRA IL MOSTRO DI FIRENZE

Da Cronaca Vera del 03 settembre 24:I delitti del Mostro di Firenze sono avvenuti dal 1968 al 1985, quando le tecniche di polizia scientifica, ma anche le stesse procedure per il trattamento delle scene criminis, erano lontane dal rigore attuale.
Inoltre l’assassino (per molti ancora misterioso, se non altro perché tre dei suoi otto duplici omicidi rimangono giudiziariamente insoluti) ebbe cura nel non lasciare tracce compromettenti dietro di sé.
Tuttavia, almeno nel delitto del 1984 a Vicchio del Mugello, non portava i guanti, poiché gli inquirenti trovarono cinque impronte digitali sospette impresse sulla cornice del finestrino destro dell’auto delle vittime, delle quali una valida per confronti diretti.
Antonio Segnini, apprezzato studioso del caso (uno dei cosiddetti “mostrologi”), giá più volte intervistato da questo settimanale, ha approfondito le vicende dell’impronta, arrivando lo scorso giugno a rivolgere alla magistratura fiorentina formale richiesta di portare a termine un controllo rimasto incompleto.Siamo sicuri che la traccia di cui stiamo parlando sia proprio del Mostro?

La certezza assoluta non c’è ma senz’altro si può parlare di altissima probabilità. L’unica alternativa è che si tratti di una contaminazione, ovvero di una traccia lasciata da qualche soccorritore o membro delle forze dell’ordine, ma i verbali dell’epoca indicano che nessuno si era avvicinato all’auto prima della scientifica. D’altra parte è lecito ritenere che questa avesse svolto  opportune verifiche per escludere contaminazioni. Va aggiunto che l’impronta si accorda con la più plausibile dinamica del delitto: dopo un primo sparo dall’esterno, l’assassino si è appoggiato con le ginocchia alla carrozzeria (ne è rimasto il segno) e con una mano alla cornice del finestrino, esplodendo altri quattro colpi con la pistola dentro l’abitacolo. Ma è la stessa magistratura a essersi mostrata convinta che l’impronta sia genuina. Infatti nel 2016, nell’ambito dell’inchiesta su Giampiero Vigilanti, indagato quale possibile compartecipe dei delitti del Mostro, chiese alla Polizia Scientifica di confrontarla con quelle di Vigilanti e di altri sospetti, tra cui Pietro Pacciani, Mario Vanni e Salvatore Vinci.

Quale fu il risultato?
Gli esperti avvertirono che l’impronta era incompleta, ovvero non consentiva di identificare, secondo gli standard forensi, il proprietario. Era però idonea a confronti diretti, per escludere corrispondenze – questo in effetti fu l’esito delle comparazioni effettuate – oppure per rilevare somiglianze sospette. Per un’altra impronta, trovata sulla scena criminis di un delitto non ufficialmente attribuito al Mostro, tale somiglianza permise di stabilire che essa, verosimilmente, apparteneva alla vittima.

Ci vuoi spiegare in cosa consiste l’iniziativa che hai intrapreso?
Nel mio libro “Se sei con me il Mostro non c’ê – Il Mostro di Firenze fuori dal buio”, rianalizzando tutto il materiale dell’inchiesta, giungo alla conclusione che l’assassino unico è Giancarlo Lotti, uno dei “compagni di merende” condannato in complicità con Mario Vanni. Peraltro ci sono elementi che lo collegano al delitto di Vicchio, e non soltanto testimoniali. La posizione delle impronte digitali, infatti, ci dice che il Mostro era uno sparatore mancino, quelle delle ginocchia che era alto un metro e 80: esattamente come Giancarlo Lotti. Purtroppo però la scientifica non disponeva delle sue impronte, e non le confrontò con quella di Vicchio, nonostante la richiesta del PM. Ma quelle impronte devono esserci, essendo il soggetto entrato in carcere. Due mesi fa lo studio legale Ponticello-Murgia-La Grua di Belluno si è reso disponibile ad assistermi nel predisporre, inviare e seguire l’iter di una lettera di sollecito alla magistratura di Firenze per cercarle e confrontarle. La richiesta è stata ricevuta e affidata a un sostituto procuratore. Confido – i legali mi confortano in questo – che in tempi ragionevoli l’istanza sarà evasa. Infatti è indubbio, indipendentemente dalla conferma o meno della mia ipotesi di soluzione del caso, l’interesse a estendere la comparazione dell’impronta di Vicchio a Lotti a tutti i soggetti  indicati dal 2016 ad oggi come presunti assassini.

Vuoi riassumerci le possibili conseguenze di una comparazione con l’impronta di Lotti?
Se l’esame escludesse l’appartenenza della traccia a Lotti, la ricostruzione giudiziaria del delitto di Vicchio, e conseguentemente degli altri attribuiti ai “compagni di merende”, andrebbe riscritta. Non avendo né Pacciani, né Vanni, né Lotti sparato nel 1984, o sono innocenti, e va ricercato il vero colpevole, o avevano un complice sparatore rimasto sconosciuto.
Se l’esame stabilisse la “somiglianza” dell’impronta con quella di Lotti, di nuovo la soluzione “compagni di merende” andrebbe riesaminata, dovendo rivedere al rialzo il ruolo di mero palo da egli confessato. Ma acquisterebbe peso anche la mia teoria secondo la quale Pacciani e Vanni coi delitti del Mostro non c’entrano nulla, perché l’unico vero colpevole è proprio Lotti.

Rino Casazza

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Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

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