Il criminologo Carmelo Lavorino racconta la storia di una tesi di laurea sul caso di Beniamino Zuncheddu che, con molti anni di anticipo, rivelava l’innocenza dell’uomo rimasto in cella oltre 30 anni
Svelo ai nostri lettori un segreto della vicenda dell’ex ergastolano Beniamino Zuncheddu, un uomo che ha sofferto 32 anni di ingiusta detenzione perché condannato a “fine pena mai” nonostante fosse innocente. Il segreto è un episodio fortemente indicativo che la meritocrazia, la serietà e l’applicazione scientifica ancora esistono… anche nel campo dell’investigazione.
Vado al punto: nell’anno accademico 2011-12, presso l’Università degli Studi de L’Aquila (Corso di Laurea in Scienze dell’Investigazione) si laureò una nostra studentessa di origine sarda, Claudia Lobina, con la tesi “L’errore giudiziario: la strage di Burcei”, dedicata proprio al processo contro Zuncheddu, condannato all’ergastolo perché riconosciuto colpevole dell’omicidio ai danni di Giuseppe Fadda (57 anni), del figlio (25 anni) e del pastore Ignazio Pusceddu (57anni), tutti residenti a Sinnai. All’eccidio era presente un quarto uomo, Luigi Pinna (30 anni), il quale era stato ferito gravemente ma era sopravissuto, così divenendo l’unico testimone oculare della strage e il teste-chiave del processo. Questo testimone dopo un mese riconobbe in Zuncheddu il killer (col volto travisato da una calza di nylon) che il pomeriggio dell’8 gennaio 1991 aveva fatto irruzione in un ovile nelle campagne di Sinnai, in località “Culle is Coccus”, con un fucile a pallettoni calibro 12 e che aveva dato il via al rito omicidiario. E così il povero Zuncheddu venne condannato all’ergastolo, soprattutto perché il supertestimone si era ricordato che l’assassino non indossava la calzamaglia (!?) e che in lui aveva riconosciuto proprio Zuncheddu.
L’aspetto interessantissimo (è proprio questo il segreto che svelo) è che questa ragazza, oggi investigatrice privata, nella sua tesi di laurea del 2012 indicò filo per segno i motivi dell’innocenza di Zuncheddu e gli errori della sentenza. Scusate se è poco: stiamo parlando di dodici anni prima dell’assoluzione al processo di revisione. Claudia individuò molte delle falle e delle contraddizioni, molti degli errori e dei punti deboli all’interno dell’impianto accusatorio e della sentenza.
Ora Claudia della sua tesi sta facendo un libro (di fatto pubblica la sua tesi così come la presentò nel 2012). In più ci sono le prefazioni di Francesco Sidoti, professore emerito di criminologia e del dottor Enrico Sbriglia, penitenziarista. Ovviamente c’è – dulcis in fundo – la mia postfazione.
Purtroppo manca Ferdinando Imposimato, perché ci ha lasciati nel 2018, ma la sua impronta di grande investigatore e di persona squisita resta e ci accompagna. Lo ricordo dal caso dei ragazzi di Ponticelli (Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo) a seguire: garantista, analitico e grande investigatore.
Claudia nella sua tesi (2012) anticipa l’individuazione di diversi errori venuti fuori al processo di revisione e all’assoluzione di Zuncheddu (2023). Ne cito soltanto cinque: 1) le pressioni che vennero effettuate da qualche investigatore sul testimone mendace che incastrò il povero Zuncheddu, facendolo “riconoscere” dopo un mese, nonostante precedentemente avesse fornito descrizioni dell’assassino e versioni del modus operandi completamente diverse (strage di Erba docet?); 2) un evidente innamoramento dell’intuizione e della congettura, quindi… la ricerca solo degli elementi utili a dimostrare la colpevolezza di Zuncheddu; 3) l’errore d’equipe e il cosiddetto autoconvincimento riverberante: si era sicuri di avere fatto tutto e bene, si riteneva che la squadra si fosse ben adoperata e nessuno dei controllori (leggasi “superiori gerarchici”) si accorse del fattore negativo, quello che aveva premuto sul falso testimone e cambiato diversi dati info-investigativi; 4) la malafede annidata nell’animo di chi remò contro la ricerca della verità e puntò la propria scommessa su un testimone falso; 5) inadeguati esperimenti tecnici sui tempi di percorrenza e sul controllo dell’alibi di Zuncheddu, tutti effettuati col pregiudizio di colpevolezza.
Concludo affermando che è un piacere constatare che esistono persone coraggiose e coerenti che cercano la verità a prescindere, e che non si fanno condizionare dai “si dice”, dalle “voci di popolo”, dalle false intuizioni e dalle “fonti autorevoli” del nulla. Siamo ancora in tanti di tal pasta, e saremo sempre di più!
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