Il 10 marzo 2020, quando Giuseppe Conte decise clamorosamente di chiudere tutta Italia nel primo lockdown d’Occidente, una voce sola si alzò per dire l’unica frase che non andava detta: “Nessuno perderà il lavoro”. La previsione era ovviamente demenziale, presto i posti di lavoro persi sarebbero stati quasi un milione. E a pronunciarla fu proprio la persona meno indicata per tale affermazione: il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, ossia quello che prima di tutti avrebbe dovuto capire la catastrofe cui stavamo andando incontro. Ma la sparò talmente grossa che, pronti via, subito lo candidarono a sindaco di Roma.
Non bastasse, lo hanno pure eletto. Ovviamente, fino ad oggi, le emergenze della Capitale non sono cambiate: i rifiuti restano sulle strade, i topi invadono i quartieri come nelle peggiori periferie del Terzo Mondo. Finchè, incredibilmente, la giunta ha deciso di tamponare il disagio, dotando Roma di migliaia di nuovi cestini per l’immondizia da disseminare lungo la città. Diciottomila per cominciare, naturalmente con appalto milionario.
Bene, 18 mila cestini dovrebbero essere in grado chiunque di farli: ce ne sono infiniti modelli nel mondo, di ogni genere e gusto. Basterebbe comprarli e metterli giù senza nemmeno far troppo clamore. Ma a Roma no. A Roma si è deciso di farne un evento. Con grande tam tam sui social si è deciso infatti di lanciare Cestò, che fa il verso al dialetto locale, con 3 caratteristiche principali evidenziate sul sito dell’Ama: la prima è che i cestini Cestò sostituiscono i 4 modelli esistenti. La seconda è che sono realizzati in materiale ignifugo e antideflagrante. La terza è che sono realizzati in un polietilene ad alta intensità che li rendono leggeri, riciclati e riciclabili.
La quarta caratteristica, che però il sito dell’Ama non riporta, è che lo splendido design ha previsto una forma cilindrica con sbarre laterali: i gabbiani infilano il becco nello spazio che c’è tra una sbarra e l’altra, bucano il sacchetto e fanno uscire per la strada tutta l’immondizia. Dovranno cambiarli tutti e riprogettarli da zero, come chiede anche l’assessore all’ambiente del I Municipio Stefano Marin: “Al fine di evitare che i volatili possano danneggiare i sacchetti dei nuovi cestini getta-rifiuti causando così lo spargimento di tutti i rifiuti sulla pubblica via si richiede di prendere opportuni provvedimenti in merito: a titolo puramente esemplificativo ma non esaustivo si potrebbe riprogettare lo spazio tra le assi verticali in maniera da renderlo considerevolmente più stretto oppure si potrebbe installare una rete interna che serva per arginare eventuali interventi dall’esterno”. Non è meraviglioso? Un’operazione da niente e di banalissimo arredo urbano si è trasformata in una costosissima quanto inutile messa in opera che andrà rifatta da capo.
Tornano in mente i fondamentali banchi a rotelle che, in epoca Covid, il governo di cui era parte lo stesso Gualtieri sfornò come soluzione avveniristica al distanziamento scolastico per evitare contagi. In realtà, com’era evidente fin dall’inizio a qualsiasi persona dotata di buon senso, a nulla servivano. E infatti nessuno li volle e finirono nei magazzini di Comuni e Province. Quanto siano costati non è ancora chiaro.
All’inizio del 2023 La Nazione parlò ad esempio di 274 euro per banco riguardo a quelli abbandonati fuori dal liceo Gobetti Volta di Bagno a Ripoli. Lo scorso aprile, invece, un centinaio li ha comprati il Comune di Bagnoli di Sopra per metterli in una sala riunioni e pagandoli 1 euro l’uno a fronte di una spesa stavolta stimata di 150 euro a banco. Nel 2021 quelli di un liceo di Venezia finirono direttamente in discarica. E 300, tra quelli di Padova, furono spediti per beneficenza in Congo: chissà la festa degli studenti africani a fronte di tanta generosità. Il problema è che le idee demenziali, oltre ad essere inutili, hanno sempre costi elevatissimi per l’erario.
Per tornare a Roma, i Cestò fanno venire in mente un altro grande capolavoro delle amministrazioni pubbliche. Fu ideato in concomitanza con i Mondiali di calcio in Italia del 1990. Si trattava della stazione Farneto, distante meno di un chilometro dallo stadio Olimpico. Vennero impiegati fior fior di ingegneri (e soldi pubblici) ma questi ultimi si dimenticarono di verificare le distanze tra i binari. In sostanza, non avevano calcolato che due treni, uno accanto all’altro, nel loro progetto, non ci passavano. Rimase aperta un paio di settimane, ma Farneto divenne uno spassoso tormentone degli spettacoli del comico Maurizio Battista.
All’idiozia non c’è limite. E potete star certi che, grazie ai prestiti del Pnrr, che mai riusciremo a restituire, molto presto ci troveremo per le strade nuove perle utili unicamente a far ridere i nostri posteri.