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GIOVANNA PEDRETTI E L’ABUSO DELLE PAROLE

Riflessioni da scrittore sul tragico caso della ristoratrice di Sant'Angelo Lodigiano e sull'uso delle parole

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Io, di solito, non mi occupo di fatti di cronaca. In passato, su questa pagina, l’ho fatto solo tre volte: per la presentazione delle case editrici Ailus e Romulus, gestite da persone con disabilità; per l’eclatante ascesa di Greta Thunberg, la giovane attivista svedese affetta dalla sindrome di Asperger, e per il caso del pullman dirottato e del coraggio e l’astuzia degli studenti della scuola media Vailati di Crema, che ho voluto raccontare non da cronista ma da scrittore.

Ma questa quarta volta, che ritengo indispensabile, è emotivamente molto più difficile.

 

Il caso mediatico

Quando, circa tre settimane fa, ho appreso la notizia che Giovanna Pedretti, co-proprietaria assieme al marito del ristorante Le Vignole di Sant’Angelo Lodigiano, aveva risposto a una recensione negativa del suo locale – unicamente a causa della presenza di due gay e di un disabile -, invitando l’autore di tale post a non presentarsi più da loro, il mio cuore si è riempito di gioia, e avevo deciso di dedicare un pezzo a lei e al rispetto per le persone con disabilità.

Invece no. Perché Giovanna Pedretti, con la stessa velocità con cui era stata innalzata al cielo da una valanga di commenti positivi e di gratitudine pubblicati sui social media, è stata travolta da una tempesta di insulti basati unicamente sul dubbio, e quindi solo su una semplice ipotesi, che il post discriminatorio fosse stato scritto dalla stessa esercente per farsi poi pubblicità con la sua risposta. E, pochi giorni dopo, si è suicidata inabissandosi nel fiume Lambro.

E ora la Procura di Lodi ha avviato un’indagine per istigazione al suicidio.

Io non so perché Lorenzo Biagiarelli e Selvaggia Lucarelli, i primi a esternare tale dubbio, abbiano voluto verificare l’autenticità di quel post, né ho capito cosa vi abbiano riscontrato di anomalo, ma Giovanna Pedretti aveva dato un esempio – o comunque un messaggio – positivo e importantissimo, che non andava assolutamente intaccato.

D’altronde, l’ipotesi che la Pedretti avesse architettato tutto per farsi pubblicità è da escludere, dato che, stando alle dichiarazioni di alcuni abitanti del luogo, lei era benvoluta da tutti, come dimostra anche il migliaio di persone presente al suo funerale, e, soprattutto, il suo locale era sempre pieno.

Una vicenda orrenda che mi aveva proprio sconvolto – a cui si sono pure aggiunte le minacce di ritorsione a Biagiarelli e Lucarelli da parte degli hater – e che, secondo me, meritava ulteriore attenzione.

 

Riflessioni (e consigli) da scrittore

Già. Ma come occuparmene?

, mi sono chiesto. Non certo alimentando odio, linciaggi mediatici, e minacce, che comunque, in ogni caso, stigmatizzo!

Poi, documentandomi, mi sono reso conto che alla base di tutto quello che era successo, di tutte le fasi di questa brutta storia, c’era la scrittura. E allora ho capito: dovevo occuparmene proprio da scrittore.

Partendo ovviamente da me.

Infatti anche a me, a volte, capita di arrabbiarmi, mentre c’è chi fa, della propria ira, il proprio mezzo di comunicazione abituale. Naturalmente, non sto parlando di violenza fisica ma solo di collera orale, che è comunque orrenda e inaridisce i rapporti.

Ma quando scrivi, la collera verbale diventa inaccettabile (oltre che un reato). Perché, non rivolgendoti direttamente a un interlocutore lì presente, accanto a te, hai tutto il tempo di pensare.

Io sono un tipo che protesta, anche per iscritto se necessario, quando so di essere stato vittima o testimone di un torto. Ma mi limito a raccontare i fatti come sono accaduti, aggiungendovi magari qualche considerazione personale… come d’altronde ho fatto anche poco fa. Ma mai insulti; perché gli insulti umiliano, sono sterili, possono ferire a morte (letteralmente, adolescenti compresi), e non sono portatori di alcun pensiero, di alcuna comunicazione. Mai!

Infatti, se io scrivessi una pagina esclusivamente di insulti e di imprecazioni, voi alla fine vi chiedereste: Ma che vuol di’?. E avreste perfettamente ragione, perché io non avrei comunicato assolutamente nulla.

Ma se io protesto, anche in modo deciso, contro un fatto di cui sono stato direttamente coinvolto o testimone, argomentando al meglio e senza insultare, non solo rischio di essere realmente utile in quell’occasione, ma poi posso pure raccontarlo, come ho anche fatto nella seconda e terza puntata di questa stagione della mia rubrica radiofonica Parola di Scrittore-Cinque minuti con Sergio Rilletti – in onda un sabato al mese, alle ore 11.45, su Radio Skylab, all’interno del programma Noi di Stefano Pastorino -,  sperando di poter essere di esempio, e quindi di aiuto, a qualcun altro.

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Sergio Rilletti e Stefano Pastorrino a Celle Ligure nel settembre 2019

L’importante, quando si scrive pubblicamente per ribellarsi, non è mortificare una persona specifica in sé, per quanto possa essersi comportata male, bensì denunciare un malfatto che ci ha direttamente coinvolto o indignato, in modo tale da allertare chi magari sta vivendo una realtà analoga, ma con altre persone, su cosa potrebbe accadergli.

Il mio racconto autobiografico Solo! e i suoi vari sequel, che potete trovare sul mio blog, e il crossover Assalto alla RAI con protagonista Mister Noir, pubblicato nel mio libro intitolato a lui stesso, sono solo l’esempio più noto di questa mia tecnica, ma, in realtà, gran parte della mia produzione – fatta di articoli, racconti, e poesie – ormai verte in tal senso; compreso questo mio intervento, che ho voluto scrivere con uno stile particolarmente congruo a quanto sostenevo.

Sì, è vero, io sono uno scrittore. Ma tutto quello che ho detto sulla scrittura socialmente utile e non offensiva, può essere praticato da chiunque: basta sapere cosa si vuole davvero dire e avere un po’ di buon senso.

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Conclusione (con Charlie Chaplin)

Concludo, salutandovi, con una fulminante battuta di Charlie Chaplin, che dedico a tutti, ma soprattutto a quelle persone – di qualunque età – che si sentono vittime della malignità altrui, e che recita così: “Preoccupati più della tua coscienza che della tua reputazione. Perché la tua coscienza è quello che tu sei, la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te. E quello che gli altri pensano di te è problema loro”.

Sergio Rilletti, mercoledì 31 gennaio 2024

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Sergio Rilletti

Nato a Milano il 21 aprile 1968, Sergio Rilletti ha collaborato con l’Agenzia giornalistica Hpress e a diverse testate (tra cui "M-Rivista del Mistero", "Il Giallo Mondadori", "Urania", "Writers Magazine Italia", e "SuperAbile Inail"), siti (tra cui "Thriller Magazine" e "Orient Express"), e numerose antologie. Crea Mister Noir, il primo eroe disabile seriale della Storia della letteratura italiana, protagonista di thriller umoristici; inventa la città di Baronia, dove ambienta thriller con sfumature sovrannaturali; e raggiunge la popolarità col racconto autobiografico "Solo!", scaricabile gratuitamente dal web. Nel 2012 cura, con Elio Marracci, "Capacita Nascoste" (No Reply), la prima antologia di racconti thriller con protagonisti diversamente abili. Nel 2014 esce "Le avventure di Mister Noir" (Cordero Editore), il primo libro tutto suo, un’antologia di racconti e romanzi brevi che celebra il decennale della nascita di Mister Noir. Nel 2017, a Celle Ligure, riceve la prima Civettina d'Oro, per meriti culturali. Nel 2019 cura una rubrica radiofonica settimanale, "Parola di Scrittore - Cinque minuti con Sergio Rilletti", in onda su Radio SkyLab. Nel 2020 esce "Mister Noir" (Oakmond Publishing), una riedizione del libro precedente con quattro racconti in più. Nel 2022 firma una storia a fumetti per "Il Grande Diabolik". Nel 2024 esce "Mister Noir: Hate & Love" (Oakmond Publishing), il primo romanzo della serie, e, sempre per Mister Noir, si inventa una nuova forma di intrattenimento: la presentazione-recital.

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