L'analisi del criminologo

Lo strano caso del proiettile nell’orto di Pietro Pacciani

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Nell’inchiesta Pietro Pacciani vi fu un mix di misteri, di stranezze e di interventi per incastrare il rubicondo contadino di Mercatale Val di Pesa. Il più eclatante è la famosa cartuccia Winchester Western calibro .22, munita di pallottola di piombo nudo recante sul fondello la lettera H. Le persone diffidenti e sospettose (Pacciani compreso) pensarono “Ce l’hanno messa loro”. Ma, chi sono questi “loro”? Ai posteri l’ardua sentenza.

proiettile pacciani

La cartuccia fu notata durante la maxiperquisizione nella casa di Pacciani e nell’orto grazie al suo “scintillio”. Era il 29 aprile 1992, ore 17:45, giorno piovoso. Due giorni prima si era rotto un paletto di cemento in due tronconi che furono posti dagli operatori all’inizio del vialetto dell’orto. Nell’orto e nello sgabuzzino di Pacciani c’erano una ventina di paletti di cemento. I due tronconi, causa la loro collocazione, furono calpestati dagli addetti. Quindi, sarebbe stato il calpestio continuo a fare emergere la cartuccia interrata. Appena lo scintillio metallico fu notato venne congelata ogni attività e la polizia scientifica effettuò le riprese filmate e fotografiche.

orto pacciani

L’aspetto che cozza contro la logica e la scienza è duplice. Il primo è che quel giorno pioveva, non c’era il sole e la cartuccia era coperta di terriccio: quindi non ci fu scintillio. Il secondo illogico aspetto è che venne preso a calci il calcolo delle probabilità, perché il ritrovamento della cartuccia fu il risultato di una rara combinazione di eventi improbabili, tutti riferiti a un solo elemento concreto: pochi centimetri cubici di terriccio avvolgenti una cartuccia.

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Difatti si verificarono sei eventi che si disposero contro Pacciani: 1a cartuccia finisce casualmente proprio in quella colonnina (scelta fra 20) che verrà disposta dagli inquirenti sull’orto per permettere il passaggio: probabilità 1 su 20; si rompe proprio quella colonnina: proba­bilità 1 su 20; si rompe proprio nel foro accanto a quello dove la cartuccia è interrata: probabilità 1 su 9; proprio quella colonnina è sistemata all’inizio del vialetto e sottoposta al calpestio continuo; la posizione della colonnina si trova in maniera ottimale da far risaltare il luccichio (inesistente); il foro contenente il proiettile poteva essere disposto in quattro maniere di cui tre ne avrebbero impedita la scoperta ed una sola invece sì: 1 probabilità su 4; un invisibile raggio di sole si va insinuare proprio sul terriccio che avvolgeva la cartuccia. Ebbene, l’unica probabilità favorevole ai cacciatori della cartuccia del Mostro era (1 su 20 x 9 x 4), cioè una su 720 (in realtà più rara perché ho saltato qualche elemento).

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Occorre anche considerare che l’orto era accessibile a chiunque avesse la chiave del cancello metallico, che Pacciani dal 30 maggio 1987 al 6 dicembre 1991 era in carcere, che da quando uscito era sotto il controllo della SAM, che l’appartamento di via Sonnino era stato frequentato dalle figlie di Pacciani e poi da studenti, fra cui qualche infiltrato della SAM, che il cosiddetto “Anonimo fiorentino” aveva anticipato che qualcuno stava incastrando Pacciani mettendogli un “proiettile” nel giardino.

Sicuramente gli accusatori di Pacciani commisero una triplice forzatura: volere dimostrare che la cartuccia appartenesse a Pacciani; attribuire l’interramento a Pacciani; volere che fosse una cartuccia del kit del Mostro di Firenze.

perquisizione pacciani

Pacciani fu incarcerato, processato, condannato in primo grado a 14 ergastoli ed assolto in appello dove, fra l’altro, dimostrammo l’innocenza della cartuccia, figlia degenere delle azioni di un invisibile burattinaio che aveva seminato prove contro Pacciani.

I giornalisti italiani persero l’occasione di tutelare la percezione dell’opinione pubblica dall’essere presa in giro dai “grandi burattinai manipolatori”, perché era evidente che si trattava di una manovra per incastrare Pacciani: lo dicemmo in pochissimi. E la storia si ripete anche per molti “gialli italici”, strage di Erba compresa, dove, guarda caso, hanno incastrato due poveracci.

Carmelo Lavorino

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Carmelo Lavorino

Carmelo Lavorino, criminologo investigativo e criminalista, profiler ed analista della scena del crimine, è fondatore e direttore del CESCRIN (Centro Studi Investigazione Criminale) e della rivista DetectiveCrime. Già docente universitario in "Tirocinio sopralluogo e scena del crimine" e in “Protezione delle istituzioni, persone ed eventi” presso l'Università di L'Aquila al Corso di Laurea Scienze dell'Investigazione. E' relatore presso Master Universitari e di alto livello. Si è interessato di oltre 200 casi d'omicidio, fra cui i delitti del Mostro di Firenze e del processo a Pietro Pacciani, di Via Poma vittima Simonetta Cesaroni, del serial killer Donato Bilancia, di Cogne vittima Samuele Lorenzi, di Arce (sia per la difesa di Carmine Belli, sia per la difesa della famiglia Mottola), del piccolo Tommaso Onofri, di morti equivoche e di omicidi camuffati da suicidi come le morti di Viviana Parisi e Gioele Mondello (Giallo di Caronia), di Glenda Alberti, di Claudia Agostini, di Marcella Leonardi, di Rodolfo Manno, del brig. Salvatore Incorvaia, di cold cases, rapine e violenze sessuali. È specializzato in investigazione criminale, esame ed analisi della scena del crimine e del modus operandi del soggetto ignoto autore del crimine, organizzazione e coordinamento di Pools tecnici e investigativi, management dell'investigazione criminale, BPA (Bloodstain Pattern Analysis – Analisi dello schema di formazione delle macchie di sangue), analisi criminali sistemiche. E' creatore del Metodo MOCCI (Modello Operativo Criminalistico Criminologico Investigativo) e dell'ACCISF (Analisi Criminalistica Criminologica Investigativa Sistemica Forense).

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