Il salario minimo è diventato il grande tema dell’opposizione, anche perchè tutto il resto appare ormai perfettamente in linea con il passato: la bava sui prestiti del Pnrr, il totale asservimento alla linea di Joe Biden in politica estera, la pace fiscale di fatto azzerata da una rottamazione quater ridicola.
Il quotidiano Repubblica ha raccontato la storia di un vigilante dell’aeroporto di Torino, tra quelli citati dalla segretaria del Pd Elly Schlein durante il suo intervento alla Camera per mettere sotto la lente d’ingrandimento l’emergenza salari. Il lavoratore guadagna 5 euro l’ora lordi e dice: «È ridicolo, mi viene da piangere. Tra i tanti miei colleghi, ci sono in situazioni spesso difficili. Abbiamo figli e, magari, mogli che per anni non sono riuscite a trovare un lavoro. E quindi i pochi soldi che portiamo a casa devono bastare per tutti. Forse da fuori possiamo sembrare degli sceriffi ma non è così: per farsi assumere serve un titolo di studio. Devi avere l’auto, conoscere una lingua straniera. E poi studiare, continuamente: come sono fatti gli esplosivi, anche liquidi, come si possono nascondere, ma anche aggiornarsi sulle nuove armi. Viviamo continuamente sotto esame: ci chiedono professionalità e qualità, ma poi in busta paga non si vede mai».
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Intendiamoci, il vigilante ha ragione da vendere. Il punto è che questa storia va avanti da un pezzo. A giugno la Procura di Milano commissariò una grande azienda di vigilanza che pagava 5,37 euro l’ora con l’ipotesi di reato di «sfruttamento del lavoro». A ottobre 2021, Il Fatto Quotidiano riportava la vicenda di un ultracinquantenne, sempre del settore vigilanza, che prendeva anche meno. Ma precisava: «Nel mio settore la paga da contratto nazionale è di 5,29 euro lordi all’ora». Qualcuno, dunque, quel contratto nazionale lo avrà sottoscritto ed approvato. Alla vigilia delle elezioni, settembre 2022, l’Ansa spiegava le priorità del Pd per il governo. Il salario minimo non veniva indicato ai primi posti, anzi: «Prevede subito il ddl Zan e l’introduzione del matrimonio egualitario, la parità di genere ma anche lo ius scholae. Un programma molto orientato sul sociale con i 500 mila alloggi popolari da realizzare in 10 anni, una sorta di progetto Ina-Casa di fanfaniana memoria. E ancora i rigassificatori ma solo in fase transitoria, insieme ad una transizione ecologica e ad un sistema fiscale “più equo”, con la riduzione dell’Irpef a partire dai redditi più bassi e la lotta all’evasione».
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Dal 2011 il Pd ha governato, per la gran parte senza aver vinto le elezioni, quasi a ciclo continuo: Mario Monti (2011-2013), Enrico Letta (2013-2014), Matteo Renzi (2014-2016) Paolo Gentiloni (2016-2018). Se si eccettua la parentesi gialloverde, è rimasto poi incollato alla poltrona dell’esecutivo ininterrottamente dal 29 agosto 2019, giorno dell’insediamento del secondo governo Conte, all’ottobre 2022, quando Mario Draghi ha lasciato il posto a Giorgia Meloni.
Eppure, in quasi 12 anni di potere incontrastato, non ha mai approvato una legge sul salario minimo, che ora chiede a gran voce. Anzi, proprio la sinistra, con il jobs act di Matteo Renzi, ha di fatto affossato l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori ottenuto da battaglie di tutta’altra sinistra, ormai sepolta dalla storia. Vero è che gli stipendi italiani sono più bassi di quelli del 1990 e vero è che sono gli unici in negativo d’Europa, perchè lo scriviamo da anni.
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Ma due cose, in questa bagarre politica non ci tornano: la prima è la totale non credibilità di chi chiede il salario minimo, dato che potendolo approvare per quasi 12 anni non solo non lo ha fatto, ma non l’ha manco ipotizzato: delle ragioni evidentemente ci saranno state. La seconda è che, senza alcun bisogno di riforme e paletti, i salari netti salirebbero immediatamente se soltanto il governo allentasse le fauci del fisco sugli stipendi e sulle aziende. Ma nessuno sembra intenzionato a farlo. Nulla ci toglie così dalla testa che stiamo assistendo all’ennesima guerra di propaganda fatta sulla pelle degli italiani. E che a nessuno di Lorsignori freghi realmente del destino del Paese.