La prima puntata della rubrica del criminologo Carmelo Lavorino su Cronaca Vera: i misteri di Donato Bilancia, il più spietato serial killer italiano
Il serial killer rappresenta la sedimentazione velenosa e putrida del male assoluto. Uccide per libidine e per gusto, per distruggere la vita, per affermare il dominio e il potere su vittime indifese: uccide in modo vigliacco, con infamia e senza rischio. Colleziona vittime e terrore.
La classifica italiana dei serial killer secondo il criterio “numero di vittime” è dominata da due assassini spietati: 1) Donato Bilancia, almeno 17 vittime (quindi il più prolifico in assoluto), ma non organizzato e nemmeno eccelso pianificatore del crimine; 2) il Mostro di Firenze, almeno 14 vittime, soggetto organizzato e intelligentissimo, grande pianificatore, ancora non individuato.
Donato Bilancia Criminal Mind: il Serial Killer con la Calibro 38
In questo numero parliamo di Bilancia: 17 omicidi in 186 giorni, dal 16 ottobre 1997 al 20 aprile 1998, 16 fra Genova e Ventimiglia, uno nell’Alessandrino. L’arma degli omicidi è una pistola Smith & Wesson mod. 38 con proiettili Lapua Patria, tranne che per il primo delitto della serie. Le vittime sono di diverse tipologie: tre conoscenti e quattordici sconosciuti, di cui due gioiellieri, due cambiavalute, quattro prostitute, tre vigilanti, due donne sui treni, un benzinaio. Vi furono anche due tentati omicidi contro due prostitute. Il suo mezzo di trasporto era una Mercedes scura.
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I tempi dei delitti e i loro intervalli, le circostanze, i moventi, i contesti, i modus operandi e le gratificazioni intime ricercate, oltre alle scelte tattiche e strategiche, sono di diverse tipologie, ed anche per questo Bilancia è un serial killer atipico.
Bilancia mi contattò nel 2001, quando era già stato condannato in appello ed aveva confessato 17 omicidi. Gli serviva una mia consulenza per dimostrare che non era quel serial killer supermanager dell’omicidio, come ritenevano i suoi accusatori, bensì qualche “cosa” altra. Accettai d’incontrarlo in quanto mi interessava conoscere alcuni aspetti importanti del suo modus operandi e dei suoi comportamenti omicidiari (prima, durante e dopo il crimine), elementi che erano ignoti a tutti, anche a lui. Lo incontrai due volte nel carcere di Padova, parlammo molto.
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Sicuramente non mi confessò nulla di nuovo, anche perché da buon narcisista e sociopatico qual era pensava solo a recitare la sua commedia con lo scopo di strumentalizzare le persone alle quali chiedeva aiuto, cosa che con me non gli riuscì. Si rivelò per quello che era: soggetto freddo ed astuto formatosi alla scuola del crimine sin da ragazzo; bugiardo, arrogante e manipolatore, grande attore, permaloso, crudele; serial killer mediocre pianificatore e parzialmente organizzato.
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Anche se non me lo ha mai confessato, ha mentito quando ha dichiarato di non avere usato pistole sino al 1998: la logica ci dice che già da dieci anni usava la pistola. Ha mentito anche quando ha detto di non avere mai usato violenza fisica alle donne sino al 1998: lo ha fatto anche prima. Lo stesso vale per quando ha dichiarato di avere paura del sangue e che per tal motivo quando uccideva le donne dopo un rapporto sessuale o sui treni, avvolgeva loro il viso con indumento prima di sparare: in realtà lo faceva per non sporcarsi di sangue e per depistare.
È altamente probabile che Bilancia abbia iniziato a uccidere prostitute da molti anni prima, specialmente quelle che lo deridevano perché era microfallico e a volte impotente: reagiva all’insulto con armi d’occasione, improprie, poi si è perfezionato. Probabilmente era anche il soggetto prezzolato che puniva le prostitute disobbedienti.
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Bilancia non lo sapeva, poi glielo feci capire: aveva puntato come ultimo anello della sua catena di vittime la cognata Ornella, perché la riteneva colpevole del suicidio del fratello Michele, il quale nel 1987 si buttò sotto un treno assieme al figlioletto Davide nella stazione genovese di Pegli. Fu Bilancia ad effettuare il riconoscimento dei due corpi: da qui l’odio per i treni, per la cognata, per le donne di circa 30 anni nelle quali identificava inconsciamente l’oggetto-soggetto odiato che avrebbe ucciso come ultimo atto della sua carriera criminale.
Carmelo Lavorino per Cronaca Vera