A TV7 parla per la prima volta il sostituto pg di Milano Cuno Tarfusser (NEL VIDEO QUI SOPRA), che ha chiesto la revisione del processo sulla strage di Erba per Olindo Romano e Rosa Bazzi. Ecco il suo intervento integrale
Sono parole che pesano come macigni quelle pronunciate dal sostituto pg di Milano Cuno Tarfusser a TV7. Per la prima volta l’ex giudice della Corte penale internazionale spiega all’inviato della Rai Alessandro Gaeta i motivi che lo hanno spinto, con una decisione più unica che rara, a chiedere la revisione del processo per Olindo Romano e Rosa Bazzi, all’ergastolo con l’accusa di aver compiuto la strage di Erba.
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Strage di Erba, le prove non reggono
Il magistrato non ha dubbi: «Secondo me le prove non reggono per mantenere in piedi questa condanna». Tarfusser spiega come si sarebbe giunti all’errore giudiziario: «Bisognava comunque arrivare il più presto possibile a un risultato e in questo contesto ovviamente non sempre si fanno le cose in modo diciamo correttissimo o comunque non meditato sufficientemente, diciamo così».
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Non sono pagato per condannare
E appare addirittura sorprendente, dati i tempi che corrono, ciò che dice in merito al ruolo rappresentato dalla Procura in Italia, perchè lo riporta nell’alveo originario per cui è stata istituita: un organo della giustizia che indaga, ma a 360 gradi e dunque che fa emergere anche ciò che va a favore dell’imputato: «Io sono nato e cresciuto e ho sempre esercitato il mio mestiere di pubblico ministero come organo della giustizia, come primo organo della giustizia. Io non sono pagato per condannare. Noi siamo come io dico sempre una parte pubblica e imparziale».
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Nella sua richiesta di revisione è stato durissimo nei confronti degli inquirenti. E ora dice: «Certo si possono commettere degli errori però gli errori si devono ammettere, se si cercano di coprire gli errori prima o poi saltano fuori, la verità è l’unica cosa che poi resiste anche nel tempo a delle contestazioni».
Strage di Erba, il riconoscimento di Mario Frigerio
A proposito di quando il testimone Mario Frigerio cambiò radicalmente idea passando dal riconoscimento di un uomo olivastro, sconosciuto e più alto di lui al notissimo vicino di casa bianco più basso di lui, Tarfusser parla dell’incontro del 20 dicembre 2006 che il superstite ebbe con il maresciallo di Erba Luciano Gallorini «che dice di non aver suggerito quando invece sembra palese – lo si vede nella sua deposizione davanti alla corte d’assise di como- che ha suggerito».
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Una versione opposta, quella del 20 dicembre, a quella raccontata da Frigerio cinque giorni prima al pm Simone Pizzotti. Dice Tarfusser: «Io mi pongo nell’ottica del pubblico ministero che va in ospedale nel primo momento utile a sentire il teste. Dal verbale non emerge un minimo accenno che possa portare alla persona condannata». E non ci fu riconoscimento in quella data e verosimilmente nemmeno dopo il suggerimento di Gallorini, perchè «l’esame successivo dello stesso testimone» da parte dei pm «è stato fatto circa dieci giorni dopo, se non undici, da parte dei pubblici ministeri». Fatto che «mi dice che evidentemente non ha detto nulla, perché sennò il giorno dopo sarebbero tornati. Questo fa il pubblico ministero cioè batte il ferro finché è caldo».
Le confessioni
Nelle confessioni rilasciate dallo spazzino e la moglie analfabeta – davanti alle foto della strage e alle versioni del marito ripetute alla moglie – di fronte ad quattro magistrati e ufficiali di polizia giudiziaria «il disequilibrio è evidente. è già nella natura delle cose che quando uno si trova in carcere davanti al magistrato… però trovarsene quattro più un difensore d’ufficio silente… devo dire che fa pensare».
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C’è davvero una macchia di sangue sull’auto?
Il Ris non trovò alcuna traccia di Olindo e Rosa sulla scena del crimine e nessuna traccia delle vittime in casa loro. Ma il nucleo operativo di Como, lo stesso giorno del presunto riconoscimento di Olindo da parte di Frigerio davanti ai pm, ovvero il 26 dicembre 2006, trovò una macchia di sangue sull’auto della coppia. Macchia che nessuno ha però mai documentato. Tarfusser liquida così la prova: «Aver interpretato male la macchia è ridicolo perché se uno guarda la foto non c’è proprio nulla. Non c’è da interpretare nulla, perché lì una macchia non è mai stata fotografata». E precisa: «Io non indico colpe e non fornisco prove. Rilevo dagli atti situazioni che sottopongo alla valutazione del giudice».
La legge prima di tutto
La decisione di depositare l’istanza di revisione senza concordarla con i suoi capi, ricorda l’inviato del Tg1 Gaeta, è costata a Tarfusser l’apertura di un procedimento disciplinare con l’accusa di aver violato un regolamento interno. Ma il magistrato non si rimprovera nulla: «Ho esercitato una facoltà che è prevista dalla legge. Secondo l’accusa disciplinare, l’avrei fatto violando il regolamento interno…» Ma fa notare l’enormità della richiesta di provvedimento ai suoi danni: «È più importante un regolamento interno o la legge?»
Non potrei dormire
E finalmente qualcuno mette un punto sulla consueta bagarre scatenata sui media, che dividono la platea di chi segue il caso semplicemente tra colpevolisti e innocentisti: «Non sono né colpevolista né innocentista: nel senso che i colpevolisti e gli innocentisti sono tendenzialmente quelli che non hanno studiato gli atti che ragionano di pancia io ho studiato gli atti e ripeto consapevole di quello che stavo facendo, ho scritto la richiesta di revisione. Se non avessi fatto la richiesta di revisione io non potrei più dormire. Questo è il punto: cioè io non sarei più sereno. con me stesso, col mio dovere, con la mia deontologia».
Edoardo Montolli