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Taccuino di un allegro ubriacone: quando l’alcol distrugge le vite o le rende immortali

Da Il CIle a Bukowski, passando per Fabrizio De Andrè

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Il Cile, ottimo cantautore spesso messo all’angolo senza ragione, ha vuotato il cuore pubblicamente rivelando le sue difficoltà relative all’abuso di alcol. Parole fredde e macchiate di risentimento privato, le sue.
Ci vuole coraggio ad affrontare un problema di questo tipo senza paura di poter essere etichettati o giudicati. Keith Richards, il chitarrista degli Stones, sui propri eccessi ha costruito un mito.
Questione di pedigree.
Il punto è che l’alcol è più infido e bastardo della droga. E ne parlo con cognizione di causa.
L’alcol non ti aliena come la coca. Non ti sdoppia i sensi rendendoti eccessivo come gli acidi.
L’alcol è un demone che ti costringe a guardarti dentro.

Massimo Ceccherini ne ha parlato diffusamente nel Podcast Tintoria e lo ha fatto da guerriero.
E’ sempre lì nascosto, raccontava. Se gli dai un po’ di spazio ti prende e ti cattura di nuovo.
Sfatiamo un mito: l’abuso di alcol non ti rende per forza un brillante compagno di tavolata, non ti elegge ad anima della festa e non serve a spiccare tra la folla.
L’alcol è il tramite con il tuo dio interiore.
Ho scritto un racconto che lo rappresenta bene come tale per Fronte del Blog. Lo volevano rappresentare in un corto ma alla fine non se ne fece nulla.
Troppo duro per tutti, pare. Soprattutto per gli astemi.

Ogni tanto io e mia moglie ci siamo chiesti: “Se De Andrè (notoriamente appassionato di alcolici) fosse stato astemio, sarebbe riuscito a scrivere quei capolavori che così tanto amiamo?”
Amico Fragile ad esempio, come lui stesso ha ribadito più volte, è nata dalla penna scivolosa di un ubriaco.
Chissà.
E’ il controsenso di uno dei vizi più infami che esistano.
Ti dà e ti toglie, quasi fosse un patto col diavolo.

Ma un bevitore cosa cerca dall’alcol?
Cerca di scappare dalla propria vita, dalla depressione latente, dall’incomprensione generale.
Vuole sentire la testa che si offusca e l’amplificazione dei propri sentimenti.
Vuole pregare Bacco affinché il mondo, anch’esso devoto, possa allinearsi sulla sua stessa lunghezza d’onda.
Un’utopia come un’altra.

Un bicchiere ed i problemi della vita si nascondono, un altro e li aspetti dietro l’angolo, un altro ancora e diventi un cecchino con il dito sul grilletto.
Questo è l’alcol: un duello all’ultimo sangue.
Spesso l’unica vittima è il fegato. Ma è un problema suo.

Personalmente ho avuto problemi con l’alcol. Grossi problemi.
Ci sono stati lunghi periodi, e parlo di anni senza interruzioni di sorta, nei quali andavo a letto alle due di mattina appoggiandomi agli armadi per non cadere a terra. Poi la solita stanza che girava, il solito punto da fissare e la gara tra il vomito e il sonno.
Risultato: il mio fegato è ormai una spada di Damocle che gocciola sulla bara che qualche anima pia prima o poi si degnerà di offrirmi. E quando mi cremeranno dovranno intervenire i pompieri.
Non è questione di depressione, almeno per quel che mi riguarda. La mia vita tutto sommato va bene così. E’ quella che mi sono costruito.

L’alcol è per Sipario, per l’incomprensione generale. Per un lavoro di merda che mi porterò dietro fino alla pensione o fino a che quella spada non mi sorprenderà in un freddo pomeriggio di novembre.
Ma non è giusto mitizzare una colpa.
Basta affrontarla da uomini. O riuscire a diventare Fabrizio De Andrè.
Ma è dura.

Alex Rebatto

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Alex Rebatto

Alex Rebatto, classe 1979. Ha collaborato nei limiti della legalità con Renato Vallanzasca ed è stato coautore del romanzo biografico “Francis”, sulle gesta del boss della malavita Francis Turatello (Milieu editore), giunto alla quarta ristampa. Ha pubblicato il romanzo “Nonostante Tutto” che ha scalato per mesi le classifiche Amazon. Per Algama ha pubblicato il noir "2084- Qualcosa in cui credere"

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