Mostro di Firenze, ecco cos’hanno scoperto i due consulenti dell’avvocato Alessio Fioravanti (figlio del legale di Pietro Pacciani) sui delitti di Carmela De Nuccio e Giovanni FoggiFu proprio da quella mattanza del 6 giugno 1981 che si iniziò a ipotizzare l’esistenza di un serial killer: il Mostro di Firenze. E tornando a quelle indagini…Il loro racconto al giallista Rino Casazza
FIRENZE – Il 6 giugno di 42 anni fa il delitto di Mosciano di Scandicci diede inizio all’incubo del Mostro di Firenze. I precedenti omicidi di questo serial killer, avvenuti nel 1968 e nel 1974, non erano stati collegati tra di loro, così solo la morte di Carmela De Nuccio e Giovanni Foggi, in quella fine di primavera del 1981, fece prendere coscienza che nelle campagne fiorentine agiva uno spietato assassino che aggrediva a colpi di pistola e pugnale coppiette appartate in automobile.
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Loris Martinelli e Dario Quaglia, fondatori della “Cold Case Association” e conduttori del canale YouTube “I mostri di Firenze”, sono consulenti dell’avvocato Alessio Fioravanti, legale di Luciano Malatesta, parente di una delle cosiddette “vittime collaterali” del Mostro di Firenze, nonché degli avvocati che patrocinano Natalino Mele, figlio di una delle vittime del delitto commesso dal Mostro nel 1968 (quello di Barbara Locci e del suo amante Antonio Lo Bianco, in cui per la prima volta sparò la Beretta del serial killer).
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Nell’ambito delle loro ricerche sugli atti ufficiali dell’inchiesta sul Mostro, i due esperti hanno riportato alla luce dettagli sconcertanti sulla pista che gli inquirenti seguirono subito dopo il delitto di Mosciano, incentrata sul mondo dei voyeur notturni. Ecco cosa ci hanno raccontato.
Il primo indagato, finito in prigione per i forti sospetti su di lui, fu infatti un guardone locale, Enzo Spalletti. Tra il Mostro di Firenze e i guardoni c’era un’affinità di tempi e campo di azione, giusto?
Martinelli e Quaglia: Esatto. In particolare la scena del delitto di Mosciano si trova in una delle zone predilette dai guardoni e da loro frequentata nottetempo in modo organizzato. Addirittura era diffuso tra di essi un sistema di “votazioni” sulle coppie spiate, catalogate in base al numero di targa della automobili. Alcuni, in particolare Enzo Spalletti, ricorrevano a mezzi tecnologici come la registrazione audio degli amplessi…
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Come finì nell’inchiesta Spalletti?
Martinelli e Quaglia: Un giovanotto, Guido Margheri, riferì alla Questura di aver incrociato Spalletti, a bordo della sua auto, in una via vicina a quella che portava al luogo del delitto. L’aveva riconosciuto per la sua fama di guardone che infastidiva le coppiette. Si venne poi a sapere che Spalletti il giorno successivo parlava già del delitto, prima che ne riferissero i media, con dettagli precisi. La moglie dell’uomo spiegò che, alzatosi di umore normale, aveva trascorso la mattina fuori di casa, tornando per il pranzo molto agitato a causa dell’omicidio. Sentito dalla polizia, affermò di aver passato la serata precedente insieme a un altro guardone, F.F., nella zona detta della Roveta, nei pressi della “Taverna del Diavolo”, poco distante dal luogo del delitto. Spalletti aveva avvicinato un’ auto parcheggiata in uno spiazzo erboso, con la luce dell’abitacolo accesa, suscitando nei passeggeri una reazione veramente strana che impaurì entrambi i compari.
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Quale?
Martinelli e Quaglia: L’auto, una Ford Capri, si mise in moto e cominciò ad andare su e giù per la strada azionando una sirena bitonale, come quella della polizia. Lo scopo sembrava essere, appunto, spaventare i guardoni come Spalletti e F., scacciandoli dalla zona.
Gli investigatori hanno approfondito il particolare, cercando di identificare l’automobile?
Martinelli e Quaglia: Non risulta, probabilmente ritennero che non avesse nulla a che fare con l’assassino. In effetti è improbabile che un serial killer solitario, prima di commettere un omicidio, ripulisca l’area da possibili ficcanaso con la minaccia di una sirena.
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Quale altra spiegazione si può ipotizzare?
Martinelli e Quaglia: Pur mancando ancora prove sicure, molti elementi inducono a ritenere che i delitti del Mostro fossero frutto di un’organizzazione criminale. Così, preparare campo libero agli esecutori materiali dei crimini poteva essere una opportuna precauzione. I verbali degli atti di indagine da noi recuperati mostrano come l’ambiente dei guardoni fiorentini fosse composto da personaggi ambigui e poco raccomandabili. Alcuni dello stesso gruppo di Spalletti giravano armati, sparando anche ad animali domestici come i gatti, avevano precedenti per furto o, per il mestiere esercitato di barbiere, avevano dimestichezza coi rasoi.
AL TEMPO DEL “MOSTRO”
Un altro era particolarmente a conoscenza dei luoghi, in quanto svolgeva la funzione di guardia venatoria. Spalletti, oltre ad essere descritto come assai rude e invadente nei confronti delle coppiette, secondo la testimonianza di un suo compagno di cella, riteneva che il suo proscioglimento dalle accuse fosse solo questione di tempo. Ricordiamo che nell’ottobre del 1981, mentre era ancora detenuto, il Mostro colpì di nuovo, fornendogli un alibi inattaccabile. Ma sul coinvolgimento dei guardoni nel caso del Mostro c’è di più. Nelle indagini per il delitto del 1974, creduto ai tempi un episodio isolato, venne sospettato un guardone. Tratto in arresto, costui reagì sostenendo di conoscere alcuni guardoni appartenenti alle forze dell’ordine. Di uno addirittura fece il nome. L’uomo fu poi rilasciato senza alcuna incriminazione.
Rino Casazza per Cronaca Vera
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