L’ipotesi del suicidio o di una morte naturale nel parco di Liliana Resinovich non aveva convinto nemmeno l’opinione pubblica. Ecco cosa disse a Cronaca Vera il noto criminologo Carmelo LavorinoSi riapre il giallo di Trieste: il gip respinge la richiesta di archiviazione dell’inchiesta e ordina di indagare per omicidio a carico di ignoti
TRIESTE- Quello di Liliana Resinovich non fu un suicidio. Ne è convinto il gip di Trieste Luigi Dainotti, che ha chiesto di indagare per omicidio a carico di ignoti sulla morte della pensionata trovata morta il 5 gennaio 2022 nell’area boschiva dell’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni. Il provvedimento del giudice si articola in 25 punti in cui si chiede una nuova consulenza medico-legale «previa verifica sull’utilità di una riesumazione del cadavere della donna» che «accerti le lesioni riscontrate, la loro origine, il mezzo che le ha prodotte, la datazione, e ogni altro elemento utile a qualificare il decesso quale conseguenza di un’azione e suicidaria o di un fatto attribuibile a terzi».
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Non solo: viene richiesta «l’acquisizione e l’analisi di tutti gli account emersi dai dispositivi in uso a Liliana Resinovich, la verifica delle celle telefoniche che ricoprono l’area del ritrovamento del cadavere e l’analisi del traffico di cella per verificare quali utenze hanno agganciato il luogo del ritrovamento del cadavere». Si dovranno raffrontare le tracce di dna trovare sul cordino e quelle miste rinvenute sugli indumenti della donna e su una bottiglietta ritrovata nella sua borsa. Altresì andranno sentite alcune persone in merito «disponibilità di somme contanti nell’abitazione di Sebastiano Visintin e Liliana Resinovich». Tempo massimo: sei mesi. Insomma, si ricomincia da zero.
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LA NOTA DELLA PROCURA SULLA RIAPERTUA DEL CASO DI LILIANA RESINOVICH
La Procura ne prende atto e in una nota il Procuratore di Trieste Antonio De Nicolo scrive: «Questo Ufficio procederà all’esecuzione delle articolate attività indicate dal gip con la stessa determinazione ed attenzione profuse fin dall’inizio della presente vicenda, allo scopo di chiarire per quanto possibile tutte le circostanze del fatto, d’individuare tutti gli ipotizzabili reati commessi in danno della signora Resinovich e, se la sussistenza di detti reati risulterà confermata dagli esiti delle investigazioni suppletive, d’identificarne gli autori».
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E si augura «che il provvedimento emesso dal gip contribuisca a mantenere, d’ora in poi, la vicenda entro gli stretti binari istituzionali dell’investigazione giudiziaria, senza le indebite incursioni troppe volte compiute in passato nell’effimero mondo dei social media e dei talk show». La richiesta di archiviazione, cui si erano opposti il marito Sebastiano Visintin e il fratello Sergio, liquidava in nove pagine le motivazioni con cui si riteneva il suicidio «niente affatto sorprendente» e non «estraneo al carattere ed alle condizioni psichiche della donna».
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Il motivo? Aveva detto ad un’amica che «la sua vita ormai l’aveva già fatta». Era insofferente «verso le uscite con i soliti amici, accusati di non far nulla se non ‘mangiare come dei porci’». Quanto all’amante: «pur avendo concordato con Sterpin di lasciare il marito o forse anche di trasferirsi a casa sua, nella settimana precedente la scomparsa di fatto» non lo chiamò e non gli scrisse mai, fatto giudicato «anomalo». Quanto al dna trovato sul cordino, fu escluso che appartenesse al marito Sebastiano Visintin, nè a Claudio Sterpin, nè al vicino di casa Salvatore Nasti.
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Però, a dirla tutta, la ricostruzione che se ne deduceva era abbastanza difficile da credere. Perchè se Liliana si fosse suicidata le cose sarebbero andate così: la mattina del 14 dicembre uscì con una borsetta vuota, senza cellulare, nè documenti, restando in giro per un periodo di tempo indeterminato (ore, giorni, una o due settimane) non si sa dove, per poi dirigersi al parco dell’ex ospedale psichiatrico. Qui si sarebbe infilata in due sacchi e altri due sacchetti se li sarebbe stretti sul collo, suicidandosi. Per quanto ci si sforzasse di accettarlo, non si trovava un solo precedente nella cronaca nera di una morte del genere.
IL CRIMINOLOGO CARMELO LAVORINO
Il noto criminologo Carmelo Lavorino si dichiarò addirittura «sbigottito» dalle conclusioni della Procura: «E come fanno gli inquirenti ad escludere “la segregazione contro la volontà” e “l’azione lesiva di terzi”? Mistero assoluto! A mio sommesso avviso la Procura ha il dovere di risolvere tutti i quesiti, gli interrogativi e i punti oscuri dell’enigma, in quanto una persona è morta e non si conoscono i vari, intrecciati e collegati “quando, dove, come, in che modo, perché, chi…” della vicenda. Ed è dovere della Procura indagare per ricostruire e risolvere tutti i punti e i segmenti neri della vicenda. Non si può liquidare una morte con le solite dichiarazioni spicciole di facciata». Ora le indagini dovranno ripartire. E stavolta dovranno far luce sull’ipotesi dell’omicidio.