Dal 4 maggio 2023 è approdata su Netflix la serie TV nipponica diretta da Kan Eguchi e scritta da Tomoki Kanazawa, Sanctuary. Sin dall’evocativo titolo, le 8 puntate trascinano letteralmente lo spettatore nel dohyo, vero luogo sacro per i lottatori di Sumo che sacrificano e dedicano la propria esistenza, come da spirito guerriero, alla suprema arte marziale.
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Va sottolineato sin da subito che a questa forma di combattimento, molto nota in Giappone ma rimasta, forse per sua fortuna, sinora fortemente ancorata alla tradizione nipponica senza essere sdoganata in contesti filmici occidentali che ne snaturassero il vero profilo (come invece accaduto per il Kung-fu, il Ju-jitsu, il Judo e via dicendo), mai nessuna formula audiovisiva, almeno con distribuzione mondiale, era ancora stata dedicata. E questo ha certamente sancito la fortuna di Sanctuary, che al suo interno vanta, oltre al protagonista Wataru Ichinose, qui nei panni di Kiyoshi Oze, numerosi lottatori Sumo professionisti che hanno contribuito a restituire agli episodi un concentrato di realismo che ad oggi conosce pochi pari nel cinema delle martial arts.
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Sarà proprio attraverso il personaggio di Oze, ragazzo scapestrato con un passato criminale e una situazione familiare a dir poco disastrosa con la madre alcolizzata e prostituta e il padre, onesto lavoratore, sommerso dai debiti, che lo spettatore varca quel luogo sacro, di preghiera, meditazione, lotta e machismo, allenamento e sudore, ma anche nonnismo e violenza psicologica, corruzione, politica e denaro. Ed è proprio questo il vanto di Sanctuary: non censurare nulla e raccontare al mondo intero ciò che gravita attorno al Sumo professionistico.
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Di pari passo al suo ingresso nel Sumo pro, vivremo il percorso di vita di Oze: un cammino tutto in salita, contrassegnato dal dolore fisico, ma soprattutto morale e dell’anima per via del senso di colpa che lo affligge per un grave incidente che ha portato suo padre in un letto d’ospedale e la necessità da parte sua di dover pagare le spese sanitarie e i debiti che attanagliano il suo vecchio, in un Giappone fortemente stratificato in caste sociali e che non conosce mediazioni.
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Attraverso flashback ci viene riscostruita la vita della sua famiglia, un tempo felice e che vantava uno dei migliori sushi restaurant del Giappone. Ma ciò che più viene messo in risalto dalla serie, che oltre a una valida prova interpretativa vanta anche fotografia, musica, sceneggiatura e regia davvero ottime (per non parlare delle coreografie!), è proprio quel lato meno conosciuto dell’arte Sumo, alla quale veniamo addestrati attraverso l’allenamento dei lottatori e il loro gergo, ma anche i numerosi incontri ai quali assistiamo.
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Entriamo nella vita privata di questi guerrieri, assistiamo alle loro giornate, al loro modo di cibarsi, al loro modo di divertirsi e alla loro profondo dedizione all’arte sacra e suprema della lotta, per loro e famiglie fonte di rendita molto spesso spietata.
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Una storia di redenzione e rivalsa sulla società da parte di un ragazzo cresciuto in contesti disagiati e difficili, che fa della sua lotta contro il mondo la sua professione e motivo di riscatto ed esistenza. Assolutamente da vedere!
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Nico Parente