Siamo ormai alla guerra della pasta e del latte: i beni di prima necessità schizzano verso l’alto, mentre tutto intorno, anzichè trovare soluzioni, i politici inventano problemi
Sono passati 15 anni dalla più grande bancarotta degli Stati Uniti, quella di Lehman Brothers. Per anni, in sostanza fino agli albori della pandemia, ne abbiamo pagato le conseguenze con una crisi economica mostruosa. Poi, nel segno del famigerato «Andrà tutto bene» e della celeberrima frase dell’ex ministro dell’economia Roberto Gualtieri «Nessuno perderà il lavoro» (11 marzo 2020), è andata sempre peggio: i dipendenti novax sospesi per mesi per il demenziale obbligo vaccinale in stile Turkmenistan, le bollette alle stelle, le saracinesche chiuse a ripetizione, la guerra in Ucraina che ha fatto ricominciare il giro: rincari mai visti prima, costo di luce e gas tali da portare alla chiusura di innumerevoli aziende, inflazione oltre ogni limite, aumento dei tassi d’interesse e conseguentemente di mutui e finanziamenti.
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E la scorsa settimana è fallita la quarta banca media degli Stati Uniti in quattro mesi, ovvero la First Republic Bank, la seconda banca più grande a fallire nello storia americana, i cui resti sono stati rilevati da JPMorgan. Prima di lei era toccato a Silicon Valley Bank (SVB), Signature Bank e Silvergate Capital, legate al mondo nuovo delle startup e delle crypto.
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Cosa succederà è presto per dirlo, ma è facile prevederlo per il nostro Paese. Mentre Francia e Germania nei mesi scorsi violavano palesemente le regole comunitarie per salvare le loro imprese dai rincari delle bollette, da noi si pensava a tutt’altro. Per ragioni che ancora oggi appaiono incomprensibili, l’Italia chiedeva infatti nel contempo all’Ue 122 miliardi di prestiti che non solo non sarà mai in grado di restituire, ma che non riesce neppure a spendere. E l’Europa si votava al suicidio economico, bloccando l’immatricolazione dei motori a benzina e diesel nel 2035 e regalando così uno dei suoi mercati più floridi in mano all’Asia: basti pensare che, come scrive il Corriere della Sera, fra i dieci principali produttori di batterie elettriche sei sono cinesi, tre sono sud-coreani e uno è giapponese.
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L’Italia è in tutto fanalino di coda: è sufficiente guardarsi in giro e contare le colonnine di ricarica per avere un’idea dello tsunami che sta per colpirci. Ed è sufficiente dare un’occhiata a tutto il resto per comprendere come finirà appena gli effetti dei fallimenti americani si faranno sentire sui nostri stipendi, unici nel Continente ad essere fermi al 1990. Perfino le previsioni ottimistiche degli esperti lasciano scioccati: dicono che abbiamo gas in abbondanza, ma tutto dipenderà dal fatto se anche il prossimo sarà un inverno mite e se la Russia ce ne fornirà ancora. Più che programmazione, sembra che ci stiano affidando alla Provvidenza.
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In compenso i dati Istat affermano che l’inflazione sia cresciuta in aprile dell’8,3% su base annua. Ma il particolare non rende abbastanza l’idea finchè non si guarda il carrello della spesa: fino a pochi mesi fa si poteva ancora comprare latte italiano a lunga conservazione e nei supermercati del nord Italia a 85 centesimi al litro. Ora non si sta sotto ad 1,05 euro. Nel 2021 un chilo di spaghetti, nella stessa zona, girava intorno a 1,42 euro (dati Ismea), ora siamo oltre i 2 euro e si sfiorano i 3 (a stare bassi) con quelli di marca: ovvero sono i beni di prima necessità, oltre agli energetici, quelli che non fanno più arrivare gli italiani a fine mese.
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A luglio le lunghe maglie della Riscossione si accorgeranno che saranno ben pochi coloro in grado di pagare la rottamazione quater, perché il 9,4% della popolazione vive ormai in una condizione di povertà assoluta, diventata addirittura strutturale: quasi 5,6 milioni di persone, oltre 1,9 milioni di famiglie (dati Caritas). E un giovane su quattro è a rischio povertà (dati Eurostat). A breve tanta, troppa gente non avrà più i soldi per comprare il pane. E sarà allora che Lorsignori, sagaci come sempre, consiglieranno al popolo di mangiare brioches.
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