Julius Avery porta in scena, con il volto di Russell Crowe, L’Esorcista del Papa, ovvero Gabriele Amorth, noto capo esorcista vaticano a cui William Friedkin, padre di tutti gli esorcistici, ha dedicato un docufilm che ne recupera vita e operato: The Devil and Father Amorth. E probabilmente, ad oggi, resta l’unica vera opera biografica degna di essere definita tale.
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Ma passiamo al film di Avery: tratto da alcuni dei numerosi scritti del prete esorcista nei quali ripercorre la sua lunga battaglia con Satana, il girato propone un caso di possessione, sul finire degli anni 80′, che vede Amorth, su invito del suo capo, il Papa (Franco Nero), recarsi da Roma fino in Castiglia, a bordo della sua Lambretta, per giungere all’Inferno sulla Terra.
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Sì, perché una volta qui, Amorth si ritroverà in realtà in un’abbazia, ormai dominata dal re degli Inferi, passata in eredità a una giovane madre rimasta vedova e con prole appresso. Gli stereotipi del genere ci sono tutti: dalla famiglia monca alla figlia ribelle sino al più piccolo rimasto fortemente traumatizzato e chiave d’accesso per il Diavolo o, per essere più precisi, Asmodeo, il re dell’inferno.
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Una volta alle prese con il caso di possessione, per il quale Amorth sarà affiancato da un giovane prete, padre Esquivel (Daniel Zovatto), anch’egli realmente esistente, i servi di Dio si ritroveranno per mezzo di Henry (Peter DeSouza-Feighoney) a scontrarsi con l’intera legione di demoni, scacciati dal Paradiso e posti al servizio del Male sulla Terra.
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Ma questo è solo l’incipit di un film che, tra horror, action e black humour, si muove verso una trama ancor più complessa che, nel tentativo giustificazionista di ribaltare la storia della persecuzione cattolica e della santa inquisizione, fa delle crociate un massacro ordinato, sotto possessione multipla, dal Male in persona. Che proprio in quell’abbazia trova sede. E qui il rimando a The Nun, in un film citazionista dall’inizio alla fine, e che fa del solo nome attribuito al protagonista il suo punto di originalità, ma del quale restituisce poco o nulla, se non alcuni cenni biografici sparsi tra un flashback e l’altro e qualche rimando al suo singolare modo di prendersi beffa di quel maligno che ha conosciuto sin da giovanissimo.
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Per il resto, la prova demoniaca di Avery, su sceneggiatura di Michael Petroni ed Evan Spiliotopoulos, consegna allo spettatore un film che non smette di strizzare l’occhio a tutti i titoli esorcistici principali, dal capostipite di Friedkin ai più recenti The Exorcism of Emily Rose sino alla saga demoniaca The Conjuring, con dialoghi che lasciano molto a desiderare ma, in compenso, degli effetti visivi d’impatto e ottimamente riusciti. Non manca la componente adrenalinica, ma questo, almeno per i conoscitori del genere, non basta a farne una prova all’altezza delle aspettative. Un’occasione che certamente poteva essere sfruttata meglio… Amen!
Nico Parente
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