Il 29 Marzo del 2013, esattamente dieci anni fa, ci lasciava uno dei cantautori più assurdi e geniali di sempre. Un maestro che hai ridimensionato il serioso universo “genovese” spaginando la poesia rendendola arte comprensibile a tutti.
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Il milanese per eccellenza Enzo Jannacci, anima del derby di Cochi e Renato, “fratello” di Dario Fo e Gaber, padre putativo di Paolo Rossi, ha rappresentato una sterzata brusca ed inimitabile nella storia dell’Arte (qualsiasi accezione si voglia affibbiare a questo abusato termine) e viaggiato con trent’anni d’anticipo rispetto agli altri.
Si è raccontato tanto su di lui. Ricordo una serata passata con Paolo Rossi al Ligera di Viale Padova, dopo aver assistito ad un suo spettacolo allo Zelig. Era in fase di “recupero”, ordinò aranciata amara e si prodigò in un bis ricco di aneddoti.
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Uno su tutti vedeva Jannacci colpito da un tram e seduto ammaccato sul marciapiede.
La gente a fare capannello: “La portiamo in ospedale? Possiamo fare qualcosa?”
E lui: “Vorrei del minestrone.”
Un’anima pia a raggiungere la trattoria accanto ed il medico, infine soddisfatto, con il suo piatto fumante tra le gambe piegate.
Un’altra storia l’ho sentita alla radio l’altro giorno. Un programma che vedeva ospite Paolo, il figlio meravigliosamente clone. Enzo, in ritardo ad un incontro con un discografico, si lancia nel naviglio e poi si rimette in marcia. Arrivato gocciolante davanti al manager infuriato si giustifica; C’era un ragazzo che stava affogando. Essendo un medico mi sono lanciato nel naviglio e l’ho rianimato.
Non mi stupisce per niente, ha commentato Paolo ridendo.
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Genio e assurdità a bracciate.
Stavolta, scansando gli aneddoti e i ricordi, proviamo a raccontare quella che secondo il sottoscritto rappresenta la pagina più straordinaria della televisione italiana.
L’anno è il 2001, su Rai1 è tornato Celentano con la sua trasmissione “125 milione di caz..te” con il suo carico inevitabile di polemiche.
Adriano è sulla sedia a rotelle. Una gamba rotta per colpa di un passo falso durante un’esibizione con Fo. Non si arrende e riadatta il palinsesto.
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Chiama alla sua corte amici vecchi e nuovi. Tutti meneghini.
C’è Giorgio Gaber che canta “Quando sarò capace d’amare”. Sua figlia mi disse che fu un momento bellissimo ma che assistervi, vista la malattia evidente del padre, le provocò anche grande sofferenza.
Dario Fo con un pezzo su San Francesco e Antonio Albanese con la storia di un operaio emigrato dal sud.
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Si dice che Celentano abbia implorato Gaber di partecipare, nonostante la malattia.
Il molleggiato voleva cantare “Ho visto un Re” ma gli altri s’imposero. O chiami Jannacci o non se ne fa nulla.
Ed ecco così aggiungersi alla tavolata il buon Enzo. Chitarra accordata e solita follia.
“L’ultimo Re di cui ho sentito parlare è uno che ha sparato ad un canotto e ha preso un tedesco.”
Celentano resta perplesso, Fo ridacchia. Il fratello Gaber gli fa cenno di proseguire.
Cominciano a cantare. La canzone va “ad intermittenza”, a ruota libera e senza copione.
Improvvisazione pura.
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Albanese è in evidente soggezione ma riesce stoicamente a tenere testa a quei giganti.
Celentano lo elegge a spalla e si fa trasportare sulla sedia a rotelle in giro per il palco.
Jannacci detta il tempo, prende in giro il pubblico che batte le mani e si appoggia a Fo che cerca senza speranze di riportarlo sui binari.
Enzo sembra non essere consapevole degli oltre dieci milioni di spettatori che stanno assistendo in quel momento alla rimpatriata di vecchi amici da osteria.
Per lui quello non era un maestoso studio televisivo di Brugherio, ma il palco di un vecchio scalcagnato teatrino di periferia come quello degli esordi.
Ecco qual era forse la forza di Enzo Jannacci: non crescere mai.
Un bambino di 66 anni che, quella sera, si ritrovò nel suo parco giochi d’infanzia e si divertì.
Semplicemente ci trascinò con lui, assieme ai suo vecchi complici, tra altalene e scivoli.
La sua forza, la loro forza.
E la nostra voglia di vivere “finché c’è la gioventù.”
Alex Rebatto
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