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La moglie di Julian Assange chiede aiuto all’Italia per liberarlo. Si può essere più ingenui?

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Ma la moglie di Julian Assange che chiede aiuto all’Italia e alla stampa nostrana per liberare suo marito, si è informata prima su come sia messo il nostro Paese? Ecco qualche dato eloquente

julian assange
Julian Assange. Credit: Di New Media Days / Peter Erichsen, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=9947273

Julian Assange è stato il fondatore di Wikileaks, l’uomo che ha fatto scoprire al mondo i crimini di guerra commessi dagli Stati Uniti in Afghanistan e in Iraq e che ha rivelato lo spionaggio degli americani portato avanti per decenni contro i capi di Stato alleati, rendendo pubblici oltre 250 mila documenti riservati.

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Da anni è sepolto vivo in un carcere inglese, prima inchiodato da false accuse di stupro provenienti dalla Svezia, poi da quelle ridicole di spionaggio da parte di Washington, che invece di arrestare chi compì quei crimini, perseguita l’attivista australiano che li svelò al mondo: gli Stati Uniti attendono che abbia effetto l’estradizione per spedirlo all’ergastolo o, perché no, a morte, dato che sono l’unica democrazia dove la pena capitale è ancora in vigore (non c’è nemmeno in Russia, dove è soggetta a moratoria dal 1996).

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La moglie di Julian, Stella Moris, è giunta in Italia per un convegno alla Camera dei Deputati, chiedendo che il nostro Paese si mobiliti per ottenere quanto prima la liberazione del marito. Non so chi l’abbia informata sulla coraggiosa stampa nostrana, ma di certo la signora è stata mal consigliata. Se c’è un Paese dove il giornalismo costituisce il megafono del potere, quello è proprio l’Italia. Nella classifica per indice di libertà siamo al posto numero 58, dietro Gambia e Suriname.

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E non è un caso che i soprusi siano all’ordine del giorno, senza che alcuno fiati: secondo la tabella delle violazioni dei diritti umani della Corte di Strasburgo dal 1959 al 2022, l’Italia svetta per quelle dell’articolo 6 inerenti i diritti della difesa: conta 301 condanne (ogni condanna può contare anche decine di casi) contro, ad esempio le 97 del Regno Unito, le 67 della Spagna e le 30 della Germania. Peggio di noi solo Turchia, Romania, Russia e l’Ucraina che preme per entrare in Ue.

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In compenso i processi durano un’eternità: vantiamo 1205 violazioni e sotto di noi il vuoto, fino alla Turchia che ne conta 609. Ma il Belpaese resta in cima anche per il mancato rispetto dell’articolo 8 sulla vita privata delle famiglie, dato che eccelle nella sottrazione illegale di minori, con 188 condanne, dietro solo la Russia. Per capirci: il Regno Unito ne conta 78, la Francia 54, la Germania 24, la Spagna 22.

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E pure nella mancata protezione della proprietà privata ce la giochiamo con un quartetto di culle del diritto: nell’ordine la Turchia, la Romania, la democratica Ucraina e la Russia. Infine, sulle violazioni al diritto ad un ricorso effettivo, siamo in compagnia di Bulgaria, Slovenia, Russia e della sempre democratica Ucraina.

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Nella torta dei ricorsi tuttora pendenti siamo al quinto posto dopo Turchia, Russia, la consueta Ucraina e la Romania. Tutti gli altri Paesi occidentali sono racchiusi nell’infinitesimale voce “altri”. Per i giornalisti italiani è previsto il carcere, su chi intraprende la libera professione pende costantemente la spada di Damocle di risarcimenti milionari e il ruolo a vita di precario. E da qualche anno a questa parte tutti coloro che fanno inchieste scomode vengono subito additati dagli stessi colleghi, o presunti tali, come complottisti, marchio da appestati senza appello.

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Signora Assange, ma poi proprio su un caso in odio agli Stati Uniti viene a chiedere aiuto all’Italia? Non lo sa che contiamo 120 basi yankee ufficiali e una ventina top secret e che i giornali nostrani dipendono ormai quasi esclusivamente dai finanziamenti pubblici di governi che sono al guinzaglio di Washington?

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A febbraio, per dirle, a tre validissimi giornalisti freelance, Andrea Sceresini, Alfredo Bosco e Salvatore Garzillo, Kiev ha sospeso l’accredito stampa perché avevano raccontato il conflitto su ambedue i fronti, fatto evidentemente gravissimo in tempi di demenziale propaganda. E quando Giorgia Meloni è giunta lì per parlare con Volodymyr Zelensky, non li hanno nemmeno ammessi alla conferenza stampa. Era già successo con altri colleghi, come Lorenzo Giroffi, bloccato alla frontiera perchè indesiderato.

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Ha visto dunque i direttori dei quotidiani strapparsi le vesti o la Farnesina alzare la voce? Ha visto Meloni a Kiev gridare indignata per il trattamento dei nostri cronisti? Ha visto titoli a nove colonne sulla libertà di stampa negata da un Paese asseritamente democratico? O ha visto piuttosto Zelensky, l’uomo che secondo i Pandora Papers nascondeva il suo denaro in società offshore, continuare ad essere incensato una pagina sì e l’altra pure come un eroe, così come lo dipinge Washington?

Dicono le sia stata consegnata dall’Ordine dei Giornalisti una “tessera d’onore” per suo marito. Non so cosa ne farà, verosimilmente un bel nulla. Ma si accontenti. Di più, purtroppo, non otterrà.

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