Il clamoroso caso di Elena Ceste, che tenne banco qualche anno, fa per qualcuno non è ancora chiuso. E potrebbe esserci un innocente in carcereIl giallista Rino Casazza intervista per Cronaca Vera la criminologa Roberta Sacchi, che mette in luce alcuni aspetti che a suo giudizio non sono stati sviscerati a fondo: sul corpo della donna non furono trovati segni di violenza
La morte di Elena Ceste, avvenuta nel 2014, tenne banco per mesi sulle prime pagine dei giornali. Casalinga e madre di famiglia, era scomparsa a gennaio di quell’anno, per essere ritrovata a ottobre in un canale di irrigazione nella campagne di Asti, a poca distanza dalla sua abitazione. Il marito, Michele Buoninconti, ne aveva denunciato la sparizione raccontando di averne ritrovato in giardino gli abiti, come se si fosse spogliata prima di allontanarsi in stato confusionale nei terreni agricoli circostanti.
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Il processo si è concluso nel 2018 con la condanna in via definitiva a trent’anni di carcere di Buoninconti per omicidio premeditato, ispirato dalla vendetta per i numerosi tradimenti, poi emersi, della moglie. L’opinione pubblica ha assunto in larga maggioranza una posizione colpevolista non appena l’uomo è stato indagato, spinta in buona parte dall’impressione sgradevole che Buoninconti, per il suo modo di fare supponente e scorbutico, produceva nelle apparizioni televisive.
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Roberta Sacchi, psicologa forense e criminologa, conosce bene gli effetti distorsivi di un eccesso di interesse mediatico nei casi giudiziari, avendolo sperimentato in prima persona nel delitto di Avetrana, in cui le sue opinioni critiche sull’impianto accusatorio che portò alla condanna delle “malviste” Cosima Serrano e Sabrina Misseri produssero una valanga di reazioni persecutorie sui suoi profili social ed email e sul telefono.
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Secondo la psicologa c’è la concreta possibilità, sulla base delle risultanze processuali, che Buoninconti sia vittima di un errore giudiziario. L’abbiamo incontrata.
Cosa c’è che non torna nella colpevolezza di Michele Buoninconti?
Innanzitutto essa manca di un elemento di fatto fondamentale, ovvero la causa di morte di Elena. Sui resti, per quanto degradati, non sono stati riscontrati segni di violenza, tanto che i medici legali hanno dovuto assegnare una causa di morte per esclusione.
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Inoltre fa pensare che non si siano trovate evidenze di colluttazione nella casa, dove sarebbe stato commesso l’omicidio, né sul corpo di Michele. Non ci sono tracce di Elena nel bagagliaio dove Buoniconti avrebbe trasportato il cadavere fino al canale né imbrattamenti dei suoi abiti e delle sue scarpe con fango o terriccio.
Lo stesso indizio contro Buoninconti ritenuto determinante, ovvero una serie ripetuta di chiamate dal suo cellulare a quello della moglie, secondo l’accusa un modo di individuare la posizione di quest’ultimo che non riusciva più a trovare sulla scena del delitto, potrebbero essere frutto, come accade comunemente, di una pressione inavvertita sui tasti del proprio apparecchio.
Quanto al movente, bisogna considerare non solo che Michele, fino alla scomparsa di Elena, era sicuramente all’oscuro dei tradimenti della moglie, ma che la sua ipertrofica autostima non gli consente ancora oggi di farsene una ragione. Ma soprattutto mi sembra che i giudici non abbiano tenuto in debito conto gli esiti di due consulenze tecniche disposte in fase di indagine sulla personalità di Elena Ceste, una psicologica della dr.ssa Enrica Fusaro, e l’altra psichiatrica del dr. Elvezio Pirlo.
Cioé?
Questo caso ha due letture possibili: o, come ha deciso la sentenza, Michele Buoninconti ha ucciso la moglie, o Elena Ceste è morta per assideramento per esser rimasta esposta alle intemperie invernali priva del riparo degli abiti, probabilmente addormentata, senza avvertire il pericolo a causa di uno stato delirante. Uno stato in cui Elena aveva versato tutta la notte precedente e che Buoninconti ha descritto immediatamente dopo la scomparsa della moglie.
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Elena aveva riferito a Michele che non riusciva a dormire perché alcune voci nella sua testa la tormentavano dicendole che non era una brava madre. La descrizione di un’allucinazione uditiva che Michele, non avendo conoscenze psicologiche e psichiatriche, non poteva inventare. Così come il denudamento, un comportamento che osserviamo in persone in preda ad una crisi psicotica. Sul punto è singolare che si attribuisca a Michele un’attività di depistaggio.
Se Michele avesse voluto depistare avrebbe lasciato i vestiti della moglie in giardino, lì dove sostiene che li ha trovati e non li avrebbe certamente raccolti. Lo stato psichico alterato in cui la Ceste versava è stato riscontrato anche nelle due citate consulenze tecniche che evidenziano come Elena fosse combattuta, con acuto e disturbante disagio interiore, tra due tendenze altrettanto forti ma contraddittorie: quella di svolgere un ruolo di madre di famiglia e quello di condurre una vita libera e disinvolta.
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La perizia psichiatrica, nel diagnosticare ad Elena un “disturbo dipendente della personalità” le attribuisce una “condizione di deficienza psichica” concludendo che “non può essere escluso, stante la deficienza psichica prima descritta, che persone con queste modalità di disfunzionamento psichico possano essere indotte a porre in essere scelte e/o comportamenti che possano di essere di loro nocumento.”