È un giallo forse destinato a rimanere tale il caso della morte di Liliana Resinovich: la Procura ha chiesto l’archiviazioneIl fratello Sergio non ci sta e annuncia opposizione. Intanto spuntano le ultime immagini da viva della donnaIl criminologo Carmelo Lavorino si dice addirittura “sbigottito” dalla richiesta di archiviazioneTutta la vicenda nell’approfondimento di Cronaca Vera
La mattina del 14 dicembre 2021 Liliana Resinovich uscì di casa senza documenti, cellulare, nè green pass. Alle 8,40 le telecamere di sicurezza la ripresero sulla strada con in mano alcune buste della spazzatura e in spalla una bosa nera. Sul viso, la consueta mascherina per evitare di ammalarsi di Covid. Secondo la Procura di Trieste non vi sono dubbi però che la donna si volesse uccidere.
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Anche se non è stato possibile appurare «se sia vero che il decesso sia avvenuto lo stesso giorno della scomparsa». Dopo 427 giorni d’indagine, quattro mesi di intercettazioni ambientali e telefoniche e 2600 pagine di atti, il pubblico ministero Maddalena Chergia ha così chiesto l’archiviazione del caso.
In 9 pagine di motivazioni la Procura ritiene il suicidio “niente affatto sorprendente” e non “estraneo al carattere ed alle condizioni psichiche della donna”. Il motivo? Aveva detto ad un’amica che “la sua vita ormai l’aveva già fatta”. Era insofferente “verso le uscite con i soliti amici, accusati di non far nulla se non ‘mangiare come dei porci’”.
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Quanto all’amante: “pur avendo concordato con Sterpin di lasciare il marito o forse anche di trasferirsi a casa sua, nella settimana precedente la scomparsa di fatto” non lo chiama e non gli scrive mai, fatto giudicato “anomalo”. Liliana “sembra soffrire l’ingombrante personalità del marito, di cui appare quasi succube”, ma ha “autonomia di uscire, incontrare amici senza renderne conto al coniuge”.
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Negli hard disk sequestrati non vi è nulla di rilevante. Sul cordino attorno al collo c’è “un profilo misto parziale ad almeno due contributori, dei quali perlomeno uno di sesso maschile”. Ma non appartiene né al marito Sebastiano Visintin, nè a Claudio Sterpin, nè al vicino di casa Salvatore Nasti. Di chi sia non si sa. Infine le tracce di 5-amino- acido salicilico sono “potenzialmente indicative di assunzione pregressa di un’aspirina o di una comune tachipirina”.
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Nessun elemento porta a pensare ad un delitto. Però l’insieme degli elementi fa ipotizzare alla Procura che Liliana fosse “stanca di essere la persona che gli altri vogliono, stanca di fare quello che gli altri si aspettano”, alle prese con “un matrimonio insoddisfacente” e l’avvio di una relazione “dalle scarse prospettive”. E quindi si tolse la vita.
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Sicchè, se la vicenda dovesse concludersi così, se ne deve dedurre che Liliana, la mattina del 14 dicembre uscì con una borsetta vuota, senza cellulare, nè documenti, restando in giro per un periodo di tempo indeterminato (ore, giorni, una o due settimane) non si sa dove, per poi dirigersi al parco dell’ex ospedale psichiatrico. Qui si sarebbe infilata in due sacchi e altri due sacchetti se li sarebbe stretti sul collo, suicidandosi.
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La Procura sottolinea il “notevole clamore mediatico” che avrebbe indotto “molti soggetti a fornire il loro personale contributo alla soluzione del caso”. Tuttavia, per quanto ci si sforzi di accettarlo, non si trova un solo precedente nella cronaca nera di una morte del genere.
Il fratello Sergio dice al Corriere della Sera: «Ci opporremo alla richiesta di archiviazione, mia sorella è stata uccisa». I legali di Sebastiano attendono di leggere le carte, mentre lui parla a TeleQuattro: «Non è la fine di un incubo, è la continuazione di una vita senza Liliana. Fa veramente male per un marito sapere che la moglie si è suicidata… se è così».
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IL CRIMINOLOGO
Il noto criminologo Carmelo Lavorino si dichiara addirittura «sbigittito» dalle conclusioni della Procura: «E come fanno gli inquirenti ad escludere “la segregazione contro la volontà” e “l’azione lesiva di terzi”? Mistero assoluto! A mio sommesso avviso la Procura ha il dovere di risolvere tutti i quesiti, gli interrogativi e i punti oscuri dell’enigma, in quanto una persona è morta e non si conoscono i vari, intrecciati e collegati “quando, dove, come, in che modo, perché, chi…” della vicenda. Ed è dovere della Procura indagare per ricostruire e risolvere tutti i punti e i segmenti neri della vicenda. Non si può liquidare una morte con le solite dichiarazioni spicciole di facciata».
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