La Procura ha chiesto l’archiviazione sulla morte di Liliana Resinovich. Il giallista Rino Casazza spiega però tutte le cose che non tornano
Il pubblico ministero titolare dell’inchiesta sulla morte di Liliana Resinovich, Maddalena Chioggia, con l’avallo del procuratore capo di Trieste, Antonio De Nicolo, ha annunciato di voler chiedere l’archiviazione del caso, spiegandone i motivi in un comunicato stampa che ha suscitato vivaci polemiche.
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La questione dovrà approdare nella sede istituzionale, ovvero essere esaminata dal giudice delle indagini preliminari, chiamato ad accoglierla o respingerla ascoltando anche la “campana” dei parenti di Liliana.
In quel contesto le carte dell’inchiesta, finora coperte dal segreto istruttorio, diverranno pubbliche, permettendo di soppesare gli esiti degli accertamenti compiuti nell’ultimo anno dagli inquirenti, su cui finora sono trapelate notizie non ufficialmente confermate o comunque parziali.
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Ci riferiamo non solo alle valutazioni medico legali sullo stato del cadavere di Liliana e sulle cause “anatomatopologiche” del decesso, che hanno dato luogo a un acceso dibattito sui media, ma anche a tutte le altre verifiche più squisitamente investigative, ad esempio sulla rete cellulare e su quella, pubblica e privata, di video sorveglianza.
In attesa di questo fondamentale passaggio è tuttavia possibile fissare i requisiti di una richiesta di archiviazione logicamente e investigativamente irreprensibile. Vediamoli.
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1. La prova “negativa” nella morte di Liliana Resinovich
Le indagini devono dimostrare che Liliana si è suicidata. La prova “negativa”, ovvero la mancanza di prove che Liliana sia morta per un’azione omicida, da sola non può bastare. Innanzitutto, la mancata evidenza di un omicidio va ritenuta sempre relativa, ovvero riferita alle conoscenze disponibili in un dato momento.
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Non è infatti possibile escludere che l’assassino sia ricorso a un modus operandi, abilmente dissimulato, ancora sconosciuto. Non sembri un argomento cavilloso, se è vero che si danno addirittura casi in cui si è arrivati alla condanna di un sospetto senza aver mai ritrovato il corpo della vittima e quindi solamente presumendo che la stessa sia morta e non invece, abbia volontariamente fatto perdere le proprie tracce. Inoltre, esistono ipotesi “borderline” tra omicidio e suicidio, rilevanti penalmente, che non possono essere escluse.
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Mi riferisco sia a quella di una istigazione al suicidio che a quella di un “aiuto” allo stesso da parte di terzi. A tal riguardo, sottolineo come Liliana non solo non abbia lasciato alcun messaggio di addio alla vita ma mancano anche, a detta di tutti quelli che la conoscevano, segnali o motivi che avrebbe potuto togliersi la vita. Questo, naturalmente, è riferito al periodo precedente alla sparizione di Liliana nel mese di dicembre del 2021.
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Stando a quando dichiarato alla stampa dalla procura di Trieste nell’annunciare la richiesta di archiviazione, non si sa nulla, invece, di quando accaduto a Liliana nell’intervallo tra la scomparsa e la scoperta del cadavere, nel gennaio del 2022. Tutto fa pensare, o comunque non si può trascurare, che abbia maturato o consolidato il proposito suicida in quel lasso di tempo.
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Poiché è improbabile che fosse isolata dal mondo, o comunque non ne ne siamo certi, è del tutto plausibile che qualcuno abbia avuto parte, e non solo da semplice spettatore, nel percorso della donna verso il suicidio.
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Poi, deve essere con certezza inequivocabile escluso, come ipotizzato da numerosi commentatori sulla base delle notizie trapelate sulla prima perizia necroscopica, che avrebbe ricondotto, parzialmente o totalmente, il decesso della donna a un evento patologico, ovvero uno “scompenso cardiaco acuto”, che Liliana, colpita da una crisi cardiaca e quindi incapace di opporre resistenza, avrebbe ricevuto una “spinta” verso la morte da qualcuno che ha infilato i sacchetti di plastica trovati avvolti intorno alla sua testa.
2. Tutte le persone hanno un alibi?
Le indagini devono dimostrare che tutte le persone in rapporto di intimità o confidenza con Liliana, per le quali sia ipotizzabile un movente per l’omicidio, hanno un alibi che consente di escludere una loro responsabilità nella scomparsa della donna.
Tenuto conto di quanto esposto al punto 1), è inoltre necessario essere ragionevolmente certi che costoro non abbiano avuto relazioni con Liliana nel periodo in cui, prima di essere ritrovata cadavere, ha fatto perdere le proprie tracce.
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