Non si contano più gli oligarchi morti in strani incidenti, suicidi e omicidi senza spiegazioni. Ad essi si affiancano funzionari in ruoli chiave in Russia. Le ultime due vittime in settimanaPrima di loro era toccato a Pavel Antov, arcimiliardario che per la polizia si è suicidato poichè depresso per la morte (anche questa improvvisa) di un amicoEcco tutta la storia
Non si ferma più la scia di sangue di oligarchi e funzionari governativi russi, tutti morti in circostanze a dir poco misteriose. L’ultima è Marina Yankina, 58 anni, funzionaria del dipartimento finanziario del ministero della Difesa caduta da una finestra del sedicesimo piano di un grattacielo di Zamshina Street, a San Pietroburgo. Per la polizia si tratta di suicidio, forse per problemi di salute.
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Poco prima, a San Valentino, era toccata la stessa sorte all’ex vicecapo della polizia politica Vladimir Makarov, 72 anni, da poco licenziato per ordine diretto del Cremlino. Anche lui si sarebbe tolto la vita. Il motivo? Non si sa.
L’ultimo degli oligarchi
E, a dire il vero, poco convincente è anche la motivazione data per un altro suicidio, un mese fa. Si chiamava Pavel Antov ed era uno psichiatra diventato il più ricco deputato della Duma: alla dissoluzione dell’Unione Sovietica si era fatto strada prima con un banco dei pegni e poi nel campo delle carini e dei salumi. Tante competenze in settori completamente diversi uno dall’altro. Strano. Ma mai come la sua fine.
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L’oligarca russo era partito per l’India per festeggiare i suoi 65 anni con tre amici. Uno di loro, Vladimir Budanov, lo hanno ritrovato morto la mattina nel letto dell’hotel di Rayagada in cui alloggiavano, con alcune bottiglie di vino a fianco. Due giorni più tardi, Antov è volato giù da una finestra del terzo piano. Per gli inquirenti nessun sospetto. L’arcimiliardario, per la polizia indiana, si sarebbe «suicidato per la depressione insorta dopo la morte improvvisa dell’amico Budanov».
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E il corpo di Budanov la cui morte, per i media locali, era avvenuta «in circostanze misteriose» è già stato cremato. In comune i due avevano le critiche a Vladimir Putin sulla guerra in Ucraina. Antov aveva infatti definito gli attacchi aerei su Kiev “terroristici”, ma in seguito aveva «chiesto sinceramente scusa».
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Una lunga scia di sangue
Si allunga così l’elenco di oligarchi e funzionari russi morti all’improvviso dall’inizio del conflitto, cinque di loro collegati al colosso del gas di Mosca Gazprom. Tutti archiviati come incidenti, suicidi o omicidio-suicidio. E se appare improbabile che un nababbo cada da un momento all’altro in depressione al punto di uccidersi, diventa inquietante quando gli episodi si ripetono.
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Era cominiciato tutto un mese prima della guerra, quando il sessantenne Leonid Shulman, alto dirigente di Gazprom, si suicidò nella sua villa lasciando un biglietto. Dissero che era coinvolto in indagini fiscali. Tre settimane più tardi Alexander Tyulyakov, alla guida della tesoreria di Gazprom, si impiccò in garage.
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Stessa sorte per Mikhail Watford, 66 anni, magnate russo dell’energia di origine ucraina e il cui vero nome era Mikhail Tolstosheya: si sarebbe messo un cappio intorno al collo nel garage della sua villa da 18 milioni di sterline nel Surrey, Inghilterra. Il giorno prima la moglie estone Jane, 41 anni, aveva pubblicato una foto sui social mentre si baciavano felici nel parco della villa.
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Stragi in famiglia
A marzo toccò a Vasily Melnikov, rinvenuto con la moglie e i due figli senza vita nella loro casa a Nizhny Novgorod, tutti colpiti con armi da taglio. Per i media russi la sua società, la Medstom, che importava attrezzature mediche, rischiava il fallimento per via delle sanzioni occidentali. Il caso fu chiuso come omicidio-suicidio.
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Archiviazione con lo stesso motivo per la strage scoperta il 17 aprile, quando, in un lussuoso appartamento di Mosca, Anastasia Avayev ritrova i corpi del padre, l’ex vicepresidente di Gazprombank ed ex funzionario del Cremlino Vladislav Avayev, 51 anni, della madre Yelena, 47, forse incinta, e della sorella Maria, di 13 anni. Per Anastasia il papà impugnava ancora la pistola: dunque è omicidio-suicidio.
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Passano quattro giorni e Sergey Protosenya, 55 anni, ex presidente dell’azienda russa del gas Novotek, si impicca nel giardino della sua villa di Lloret de Mar, in Spagna. In casa ci sono i corpi senza vita della moglie Natalya e della figlia Maria. Le avrebbe uccise con un accetta.
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Ma stavolta il figlio Fedor non ci crede e dice al Daily Mail: «Mio padre non è un assassino, non so cosa sia accaduto quella notte ma so che non può essere stato lui». È quindi il turno di Andrei Krukowski, 37 anni, direttore del resort sciistico Krasnaya Polyana, di proprietà di Gazprom: cade da una scogliera a Sochi. Come sia stato possibile nessuno lo sa.
Gli oligarchi e l’elenco infinito di morti misteriose
Poco più tardi Alexander Subbotin, ex amministratore delegato del gigante petrolifero Lukoil, muore dopo essersi sottoposto con uno sciamano al trattamento con veleno di rospo, che assumeva per rafforzare il sistema immunitario. E a luglio viene assassinato nella sua villa a San Pietroburgo Yuri Voronov, 61 anni, miliardario in affari con Gazprom.
Identico destino per Il multimilionario di origine ucraina Yevgeny Palant, 47 anni, pugnalato con la moglie Olga, 50, nella sua casa di Mosca. Prima di Antov, a settembre, era stata la volta di Ravil Maganov, presidente del Consiglio di amministrazione di Lukoil, volato giù dal sesto piano di un ospedale.
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Ad essi si aggiungono le morti di Pavel Pchelnikov, 52 anni, manager delle ferrovie russe, trovato morto nel suo appartamento di Mosca, così come successo a Dmitry Goloshchapov, figlio di Konstantin Goloshchapov, il «massaggiatore di Putin», quattro giorni dopo che Konstantin era fuggito in Bielorussia con in mano, scrissero «i segreti dello zar».
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Anatoly Gerashchenko, rettore dell’Istituto di aviazione di Mosca, e l’oligarca Dmitry Zelenov, attivo nel settore immobiliare, sono morti cadendo dalle scale. Quest’ultimo era certamente contrario alla guerra. E, ufficialmente, piuttosto distratto.
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