Cronaca Vera incontra Adriano Barone, lo sceneggiatore riuscito in un’impresa di successo che appariva impossibile.Stella emergente del fumetto italiano, Barone è autore della nuova serie Mr. Evidence e di un difficilissimo lavoro in cui ha fatto incontrare due mondi molto diversiSu Fronte del Blog, la versione estesa dell’intervista
L’astro nascente del fumetto italiano si chiama Adriano Barone, ha 46 anni ed è cresciuto a pane e graphic novel. Riuscendo infine nella difficilissima impresa di far incontrare un eroe del fumetto italiano, Nathan Never, con i supereroi della Dc Comics, ovvero quella Justice League con cui tutti siamo cresciuti. Cronaca Vera lo ha incontrato.
Come ti sei appassionato ai fumetti e com’è iniziata e poi sviluppata la tua avventura editoriale da romanziere e sceneggiatore?
Faccio fatica a ricordarlo, onestamente. Ho sempre letto fumetti sin da bambino, prima Topolino, con cui ho imparato a leggere, e le strisce umoristiche inglesi che mio padre comprava e che leggevo di nascosto. Con l’adolescenza, in pochissimo tempo, la scoperta dei fumetti Bonelli, dei manga, dei fumetti americani.
Da che mi ricordo sono sempre stato un lettore (anche di romanzi) e non un uomo d’azione: suppongo che l’ordine derivante da una struttura finita e compiuta come è “una storia” sia una via di fuga dal caos del mondo. A un certo punto, evidentemente, mi sono convinto di avere qualcosa di abbastanza importante da dire da trasformarlo in storie che fossero mie. L’ego sicuramente ha giocato una grossa parte.
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Sul come è iniziata la mia avventura… diciamo che il primo passo è stato scrivere (gratis) articoli per una rivista on line. Da lì ho cominciato a scrivere articoli per La Prealpina. Successivamente questo minimo CV mi ha permesso di fare il correttore di bozze di romanzi pubblicati da una casa editrice che faceva anche fumetti e presso cui pubblicai nel 2009 il mio primo graphic novel, L’era dei Titani, disegnato da Massimo Dall’Oglio.
Ma dobbiamo fare un passo indietro: ricordo che ero rimasto in contatto con la mia Scuola di fumetto, cercando di capire chi fossero i migliori disegnatori che uscivano dopo il terzo anno, quello finale. Uno era Gigi Cavenago, copertinista di Dylan Dog e oggi attivo sul mercato americano: mi chiese di scrivere i dialoghi per una storia che doveva apparire su Strike, rivista della Star Comics la cui vita durò solo 5 numeri. Non mi feci pagare, ma chiesi di avere il credito. E quella fu la mia prima pubblicazione professionale, nel 2005.
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Per la prosa, il mio primo libro fu una raccolta di racconti chiamata Carni Estrane(e), che verrà ripubblicata nel 2023. All’epoca frequentavo la libreria del Giallo, luogo di ritrovo di scrittori divenuti poi cari amici, molti scomparsi, come Andrea G. Pinketts, Stefano Di Marino e Sergio Altieri, che all’epoca curava le collane da edicola di Mondadori. Era il 2009, e chiesi a Sergio se potevo mandargli del materiale, e lui gentilissimo, mi disse di sì.
Ma i miei racconti di genere horror sarebbero apparsi in appendice a diversi numeri di Urania, che come è noto, è una collana di fantascienza. Chiunque avrebbe detto che andava bene ma a me questo “scollamento di genere” non andava bene, per qualche motivo. Quindi – ancora oggi non so da dove venne fuori quella sicurezza in me stesso, mai più avuta – dissi a Sergio: “Se te ne scrivo abbastanza per farne un volume mio, me lo pubblichi?” Sergio rispose di sì. Io ci misi un anno, ma il libro uscì in effetti nel 2010».
Qual era il tuo supereroe dei fumetti preferito da piccolo?
L’Uomo Ragno, che si chiamava ancora così e non Spider-Man. Quando avevo 5 anni, ebbi la fortuna di ricevere in regalo una raccolta della Corno dove c’era il numero 200 di Amazing Spider-Man: nella storia compariva l’assassino dello zio Ben, e Peter decide di non vendicarsi ma di farlo arrestare, perché ha imparato che da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Nel finale l’Uomo Ragno riflette che molte persone desiderano aiutare gli altri, ma lui ha IL POTERE di farlo… concludendo con un “Quindi su la testa, eroi! L’Uomo Ragno non sparirà!”. Dopo quasi 40 anni quando ci penso mi commuovo ancora. Amore a prima vista. Oggi mi sento di dire che amo molto tutti i supereroi, figli di un’epoca più ingenua, e portatori di una morale molto semplicistica, ma lettura davvero “di conforto”, per quel che mi riguarda. Sarà l’età.
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Nathan Never/Justice League – Doppio Universo. Ti hanno affidato il difficilissimo compito di unire due mondi, ma anche due culture editoriali molto diverse. Qual è la differenza tra un eroe nato in Italia e uno nato negli Stati Uniti?
Come ho sottolineato nel rapporto tra Nathan Never e Superman, gli eroi Bonelli sono “semplici” esseri umani. Eroici, ma persone come noi. I supereroi hanno comunque i superpoteri (non tutti, ovviamente, alcuni sono solo vigilantes in calzamaglia), cosa che li rende in un qualche modo quasi divini. Mi pareva quindi importante evidenziare che Nathan Never (ma questo potrebbe valere per altri nostri eroi nostrani) provi un profondo senso di inadeguatezza al confronto col “divino”: “Se esistono questi esseri che possono fare il mio lavoro, io cosa sto qui a fare?”
Un altro aspetto specifico che ho voluto mettere in risalto è che i supereroi fanno quello che fanno “volontariamente”, i nostri protagonisti, pur roici, molto spesso fanno quel che fanno… per lavoro. Nathan Never infatti appare nella prima parte dell’albo in giacca e cravatta, in forte contrasto con le calzamaglie colorate dei supereroi americani. Al contempo nei dialoghi ho sottolineato parecchio gli aspetti della “vita d’ufficio” con riferimenti al timbrare il cartellino e agli straordinari. Per i “nostri” eroi, pur solo umani, salvare il mondo è in fondo una giornata di lavoro come un altro. Anche senza super poteri.
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La storia dei personaggi di Justica League è lunghissima: ci sveli qualche dettaglio poco noto dei protagonisti della Justice League?
Penso che tranne le versioni mainstream diffuse tramite i film si conosca molto poco del fumetto originale. Potrei dire che nelle prime storie Batman e Superman facevano parte della JLA, ma non comparivano perché gli editor DC temevano che i due personaggi fossero sovraesposti.
Sempre nelle prime storie, il gruppo non agiva compatto, ma venivano creati una serie di piccoli gruppi di due personaggi per articolare in modo più interessante la storia, cosa che ho fatto anche io in NN/JL come affettuosa citazione/omaggio a quelle prime storie di Gardner Fox e Mike Sekowsky. Forse pochi sanno che Gardner Fox è letteralmente la persona che inventò il concetto stesso di “supergruppo”: negli anni ‘40 creò la Justice Society of America, e nel 1959, su “Brave and the Bold” 28, appunto, la Justice League.
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Avevi fatto anche una prefazione all’incontro tra Dylan Dog e Batman: che cos’hanno in comune?
Come scrissi in quell’intro, sono entrambi personaggi immersi nell’ombra e nell’oscurità. Entrambi hanno alleati che permettono loro di non affondare nelle pieghe del buio della loro mente, che si tratti di Gordon o della Bat-Family di Batman, di Bloch che costringe in qualche modo l’indagatore dell’incubo a rimanere coi piedi per terra e Groucho che con le sue battute riesce a far ridere Dylan anche nei frangenti peggiori. Entrambi hanno a che fare con mostri, anche se quelli di Batman sono creature inquietanti che potrebbero essere solo terrificanti manifestazioni di una mente malata, mentre quelli di Dylan sono spesso manifestazioni di un “male di vivere” in cui Dylan (e il lettore) si identifica ancora più che con gli umani. Un’altra enorme differenza è il rapporto coi rispettivi padri: la morte del padre di Bruce Wayne crea Batman, il padre di Dylan Dog crea (tenta di creare) morti viventi e diventa il più grande nemico del figlio che tenta di fermarlo.
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Ci racconti qualcosa sulla serie Mr. Evidence?
Mr. Evidence è tante cose: un thriller psicologico, o “psichiatrico” E un crime non convenzionale: i protagonisti Frederick, Alexandra, Adam, Philipp, ovvero Mr. Truth, Miss Nerve, Mr. None e Mr. Pain. si ritrovano a dover indagare su dei casi e sul proprio passato, chiedendosi in continuazione quale sia la linea di demarcazione tra una supposta “normalità” e quella che viene chiamata “follia”. Si tratta di un fumetto per il quale – pur da non specialisti – io e il mio co-sceneggiatore Fabio Guaglione abbiamo cercato di documentarci nel modo più completo possibile, partendo da veri disturbi e casi reali, ma ovviamente “esagerandoli” per creare una narrazione appassionante. Se dovessi consigliarlo a qualcuno, direi che è ideale per amanti delle serie tv a cui è piaciuto “Sherlock” con Benedict Cumberbatch, o qualsiasi serie con un protagonista eccezionalmente intuitivo (Lie To Me, Monk, The Mentalist): immaginatevi qualcosa del genere, ma con QUATTRO protagonisti disfunzionali.
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Perchè, secondo te, oggi le fumetterie, ma anche librerie ed edicole sono sempre più piene di manga?
La risposta in realtà è articolata ma semplice:
I manga sono un vero e proprio linguaggio che mette al centro del racconto i personaggi e le proprie emozioni, parlando in modo universale ai lettori di tutto il mondo.
I manga trattano di qualsiasi argomento immaginabile, non solo nei generi tradizionali: esistono manga storici, manga che parlano di vita quotidiana, manga sportivi. E anche il rapporto coi generi è comunque liberissimo e flessibile.
I manga hanno un inizio e una fine, non “durano finchè dura il gradimento dei lettori” come il fumetto popolare occidentale (che sia Bonelli o si tratti dei supereroi americani).
I manga sono fatti in Giappone, un paese che ha creato un sistema multimediale fortissimo da 60 anni. Se un manga ha successo, se ne fa un anime, cioè il cartone animato. A differenza dei prodotti (film e serie tv) occidentali, tra anime e manga c’è una “continuità grafica” per cui se vedi l’anime e poi il manga, ritroverai di fatto lo stesso prodotto, lo riconoscerai. Se vedi un film di Batman e poi leggi i fumetti, questo non accade. L’anime viene poi esportato in tutto il mondo e crea un “boost” per le vendite del manga stesso.
A questo si aggiungono videogames e merchandising, con una coordinazione e un rispetto del “concept” centrale che in occidente manca del tutto. Si tratta di un sistema perfetto e collaudato, che in occidente non riusciamo in qualche modo a replicare.
Per chi volesse approfondire, consiglio la lettura di “Anime System. Il successo polimediale dell’animazione giapponese” di Marc Steinberg, edito da Tunuè.
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Ci sono alcuni programmi oggi che consentono, grazie all’intelligenza artificiale, di far realizzare disegni bellissimi e complessi anche a persone che non hanno mai tenuto una matita in mano. Secondo te il mestiere di disegnatore di fumetti andrà sparendo?
Penso che andrà sparendo nella sua forma attuale. Potrebbe succedere la stessa cosa anche ai narratori (sceneggiatori o scrittori di prosa). Di fatto è molto probabile che diventeremo più “revisori” degli output creati dalle AI che veri creativi. Per chi come me legge fantascienza da anni, questo non è affatto uno scenario sorprendente, tuttavia: ricordo un racconto di Greg Egan dove le attività artistiche erano considerate semplicemente degli hobby o la trilogia di MaddAddam di Margaret Atwood (autrice anche del romanzo “Il racconto dell’ancella”) che prevedeva un futuro dove l’entertainment sarebbe stato costituito da contenuti video creati da AI a cui viene fornito dello user generated content e alcune indicazioni sul genere che si desidera vedere.
Diciamo che trovo strano l’atteggiamento di chi grida allo scandalo quando si va a toccare la creatività: ci sono persone che hanno perso il lavoro in altri campi per il progresso tecnologico, ma per esempio non ho visto levate di scudi per salvare le librerie, e ho visto invece persone utilizzare serenamente Amazon perchè è più comodo e conveniente. Mi pare troppo comodo reagire solo quando si viene toccati personalmente dallo sviluppo tecnologico e non avere una visione d’insieme più ampia sull’argomento.
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Con la crisi dei lettori, Disney, Marvel e Dc Comics hanno trovato nuova linfa al cinema. Lo ha fatto anche Diabolik e ci ha provato Dylan Dog. Il futuro del fumetto è questo?
Il fumetto non ha futuro in alcune delle sue forme attuali.
Escludendo il manga, già adesso i continui rincari della carta e la difficoltà della distribuzione (edicole in Italia, fumetterie in USA) rendono il fumetto seriale un prodotto destinato a sparire, perdendo così la sua caratteristica di medium popolare.
I manga potrebbero sopravvivere, se non su cartaceo, sul web o in formati pensati nativamente per cellulare, in piattaforme come la coreana WebToon, dalle cui serie a fumetti on line sono tratti numerosi drama sudcoreani che si possono vedere anche su Netflix.
Anche il graphic novel potrebbe sopravvivere, anche se diventerà appunto un prodotto sempre più di nicchia.
Ci saranno sempre le eccezioni, spunterà un altro Zerocalcare, in Italia o in altri paesi, ma il fumetto è già cambiato moltissimo e questo cambiamento non farà che accelerare. Non morirà, perché è un medium molto economico da produrre e col web è molto facile farlo arrivare ovunque. Bisogna chiedersi se si potrà VIVERE del proprio lavoro da fumettisti, ma per questo vedi la risposta sulle AI.
Ci sono ancora giovanissimi che si avvicinano al fumetto?
Si avvicinano ai manga, perchè è quella la forma di fumetto che riconoscono vicina alla loro sensibilità. Ma non basta “fare un manga” per poi avere una chance di “sfondare” a livello globale con un proprio titolo: il problema vero è costituito dal fatto che in Italia come nel resto del mondo non si è ancora riusciti a creare un sistema transmediale, crossmediale o polimediale, chiamiamolo come vogliamo, così perfettamente funzionante come quello giapponese, come ho detto in precedenza.
Hai progetti nell’immediato futuro o un sogno che vorresti realizzare?
Il mio sogno irrealizzabile sarebbe serializzare un manga in Giappone: assolutamente impossibile se non si parla giapponese e non si vive a Tokyo, e anche in quel caso, solo da sceneggiatore, molto complicato. Mi accontenterei di poter pubblicare dei fumetti anche in Francia e di riuscire a creare cartoni animati qui in occidente. Vedremo se dall’anno prossimo almeno uno di questi due risultati diverrà leggermente più concreto.
Action figure di Spider Man da 18 cm, per il decimo anniversario, da collezione, scala 1:10, con costume integrato