Parla per la prima volta il figlio di Alessandro Maja, Nicola, unico superstite della strage commessa dal padreL’uomo sterminò moglie e figlia. E tentò di uccidere anche lui. In questi mesi ha scritto varie volte al figlio: “Non ho mai risposto”. E ora inizia il processoL’intera vicenda nell’approfondimento di Cronaca Vera
SAMARATE (Varese) – Si è appena aperto il processo in Corte d’Assise a Busto Arsizio nei confronti di Alessandro Maja, l’uomo che il 4 maggio uccise la moglie Stefania Pivetta di 56 anni e la figlia Giulia, di 16. Il figlio Nicola, 23 anni, si salvò, dopo un lungo periodo in ospedale. E ora vorrebbe fargli solo una domanda: «Papà, perché hai distrutto la nostra famiglia?»
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LA STRAGE DI ALESSANDRO MAJA
Alessandro era una persona nota a Milano, con il suo Maja Group: lo conoscevano per la sua progettazione di bar e ristoranti milanesi, anche con lavori importanti, come alcuni spazi alla stazione Cadorna e alla Malpensa. Sul suo sito si definiva uno cresciuto “fra i caffè milanesi” e un “vulcano di di idee, originali e stravaganti, ma concrete e funzionali”.
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Finché, nella sua villetta di Samarate, non commise una strage. Aggredendo prima la moglie sul divano. Poi salendo al piano superiore, accandendosi sulla figlia e sul figlio Nicolò, 23. Assalendoli con un cacciavite picchiato nei loro corpi con un martello. E poi con un trapano. Una scena dell’orrore scatenata mentre tutti dormivano. Secondo il medico legale le abrasioni sulle mani e sulle braccia di Giulia raccontano come la ragazzina tentò invano di difendersi.
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Nicolò è vivo, ma per miracolo: c’erano frammenti di ossa nella testa, spezzatesi a causa della furia del padre, e i medici hanno dovuto a lungo rimuoverli dal cervello. Alessandro era convinto di aver ucciso anche lui quando, zuppo di sangue ha aperto la porta di casa e ha detto al vicino: «Finalmente li ho uccisi, bastardi». Lui si era ferito a polsi e addome e si era bruciato un sopracciglio con un cerino: un tentato suicidio piuttosto sospetto. Mentre lo portavano via in ambulanza, verso il reparto di psichiatria dell’ospedale di Monza, il geometra sussurrava, all’opposto di quanto dichiarato poco prima: «Sono un mostro».
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Tutti si chiesero se avesse una doppia vita o se fosse sull’orlo del baratro economico. Lui che si presentava come architetto, ma era solo geometra. Sicchè si ipotizzò che il geometra avesse fatto prestiti fuori dai circuiti bancari, magari con persone sbagliate cui non sapeva come restituire il denaro.
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Al suo avvocato Enrico Milani, Alessandro si lasciò invece sfuggire una frase che lasciava smarriti: «Non mi capacito di come sia potuta accadere una cosa del genere, non doveva succedere». Come se nella sua testa ci fosse stato un blackout. Chissà. Però, la domanda che tutti si fecero era la più ovvia: uno può sterminare a martellate e a colpi di cacciavite la famiglia per evitarle un futuro in povertà? E se la risposta è no, cos’è scattato allora nella sua testa? Tante domande, nessuna risposta.
LE PAROLE DEL FIGLIO
Ora il processo servirà a fare chiarezza anche sul movente. Molti mesi più tardi Nicolò parla con il Tgr Lombardia e ancora non sa darsi spiegazioni: «Che cosa, nella nostra vita, non andava bene? Mio padre mi ha scritto diverse lettere, ma non gli ho mai risposto, però se lo incontrassi gli chiederei qual è la motivazione di questo gesto».
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Si è costituito parte civile contro il papà. E ricorda: «Nell’ultimo periodo aveva molte preoccupazioni in ambito lavorativo, ma non si pensava si potesse arrivare a una cosa del genere». L’incubo sarà impossibile da dimenticare, perchè nulla potrà essere più come prima. Però, dice il giovane «sono andato avanti in questi mesi con la forza che mi dava e mi dà il loro ricordo, e col sostegno dei miei parenti».
E non gli resta che guardare al futuro: «I miei sogni sono quelli di trovare un lavoro che mi permetta di mantenermi, poter assistere a una partita del Palermo, squadra per cui tifo, e assistere al Gran Premio di Formula 1». Un sopravvissuto come lui ad una tragedia enorme, che consigli darebbe ad altri che si trovassero nella sua stessa situazione? Al cronista Nicolò risponde così: «Ad altri direi di farsi forza e guardare in qualche modo avanti perché è una fortuna essere qui».