C’era una frase sulla prima pagina di un romanzo di James Ellroy (non ricordo se American Tabloid o Sei pezzi da mille) che faceva più o meno così: Los Angeles: arrivi spregiudicato, riparti pregiudicato.
Contesti fumosi e criminali tra pistole e reietti, nei libri del grande romanziere statunitense.
A Milano, capoluogo lombardo e motore trainante dell’economia del belpaese, regna da anni il sindaco Beppe Sala. Un uomo con le idee chiare e che fa dell’ecologia il suo baluardo più rappresentativo.
Così, tra piste ciclabili che non finiscono da nessuna parte e che s’intersecano tra auto parcheggiate e paletti di ferro ed il via libera ai monopattini selvaggi, è arrivata la nuova brillante iniziativa del primo cittadino meneghino.
Da Gennaio 2024 l’intera città inaugurerà una nuova ed inviolabile direttiva stradale: il limite di velocità a 30 all’ora.
Come al solito si emulano altre grandi metropoli europee tipo Parigi, che da quando ha adottato questa nuova regola non ha visto diminuire affatto gli incidenti ma che, anzi, ha esponenzialmente visto aumentare il traffico cittadino già congestionato per ovvi motivi.
Sala sta agendo a passo di danza sulla viabilità come uno stratega di Risiko spudorato ma apparentemente vicino ai cittadini e alle loro necessità.
Ha reso l’intera, o quasi, area urbana inagibile a chiunque possegga auto più vecchie di otto anni.
Senza pensare minimamente che, se qualcuno è costretto a guidare una Yaris del 2009, probabilmente potrebbe non avere le disponibilità per spendere cifre astronomiche per un’auto elettrica (carissima e di produzione rumena).
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Ma può essere un problema per il sindaco? Affatto, è da anni che sostiene che la mobilità dovrebbe concentrarsi quasi esclusivamente sui mezzi pubblici. E visto che ci crede così tanto ha permesso che il prezzo dei biglietti di autobus, metro e tram aumentasse fino a due euro e venti.
Il comune ha bisogno di soldi, è stato detto.
Forse per mantenere ancora accesso l’albero di natale in piazza Duomo tre settimane dopo la fine della ricorrenza.
Già, due euro e venti dicevo. Strano come ricalcare le manovre altrui assuma contorni autonomi quando si tratta di soldi. Ero a Parigi due settimane fa: carrozze della metropolitana da far impallidire le nostre per pulizia e puntualità e biglietti da un euro e sessanta.
Forse il sindaco in questo caso specifico si era distratto. Probabilmente stava assistendo ai nuovi lavori a CityLife o all’inaugurazione del nuovo spazio Made in Japan in via Durando a Milano.
Passando le mie giornate nelle zone più degradate e disperate di Milano, quelle con i topi morti nei cortili e i motorini bruciati sul marciapiede, per intenderci, ho sperato talvolta di vederlo apparire come un salvatore della patria.
“Milano è anche questa”, ho sognato di sentirgli dire.
Com’è ovvio non è mai successo e non succederà mai.
Ora la priorità è ridurre il limite di velocità. E’ fondamentale.
Qualche malpensante di destra potrebbe pensare: “ma è solo un modo per il comune di fare cassa con le multe!”.
Come se riempire di strisce blu ogni perimetro possibile (alla faccia dell’obbligo di garantire altrettanti parcheggi liberi) persino in zone di assoluta povertà come Piazza Selinunte, non garantisse introiti adeguati all’azienda che si occupa di riscuotere. Come se l’aumento dei prezzi dei biglietti, il blocco del traffico per i meno abbienti e tutte le altre mosse decise o avallate dal primo cittadino non fossero solo ed esclusivamente un mezzo per rendere Milano, la grande Milano, una città green e aperta a tutti.
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