Olindo Romano spera che dopo 16 anni la verità venga a galla. Confida nelle nuove prove e nella testimonianza di Abdi Kais, all’epoca della strage residente nell’appartamento di Raffaella Castagna e Azouz Marzouk
Da Oggi.it
Olindo Romano torna a parlare dal carcere. Racconta della sua vita in cella, degli sporadici incontri che riesce ad avere con la sua Rosa. E spera nella revisione: “Dovevano approfondire la pista dello spaccio di droga, continuo a pensare che sia stato più semplice incastrare due persone come noi non sveglissime”.
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LA STRAGE DI ERBA
Lui e la moglie sono in cella dal giorno del primo arresto, l’8 gennaio 2007. Furono accusati della strage avvenuta nella corte di via Diaz, a Erba, l’11 dicembre 2006. Vennero ammazzati Raffaella Castagna, suo figlio Youssef Marzouk, la madre di lei Paola Galli e la vicina che abitava nella mansarda dell’edificio, Valeria Cherubini. Non c’erano tracce dei coniugi nel palazzo dell’eccidio, né delle vittime in casa loro.
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Ma la coppia fu condannata in tutti e tre i gradi di giudizio grazie a tre elementi: il riconoscimento dell’unico superstite ferito Mario Frigerio, che, dopo aver accusato per oltre due settimane un uomo più alto di lui, di carnagione olivastra, mai visto prima ed esperto di arti marziali, puntò l’indice contro il vicino di casa, più basso di lui, di carnagione bianca, notissimo alla vittima e di professione netturbino.
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La seconda prova fu una macchia di dna sul battitacco dell’auto dei coniugi, che nessuno vide mai se non il carabiniere che asserì di averla repertata pur descrivendola come diluita e lavata, mentre il perito che l’analizzò, Carlo Previderè, la definì originale e concentrata.
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I giudici scrissero nelle sentenze che Olindo Romano e Rosa Bazzi non parlavano mai in casa della strage perché sospettavano di essere intercettati. Ma gli audio che potrete ascoltare nella prima puntata e mai analizzati a processo smentiscono questa versione: non solo i due parlavano costantemente della mattanza, ma si interrogavano su chi potesse essere l’assassino e speravano che il testimone Mario Frigerio si riprendesse per riconoscerlo. Non solo. Un’intercettazione mai ascoltata smonta anche la ricostruzione dei giudici secondo la quale Olindo avrebbe immaginato di essere registrato dopo aver smontato il citofono: il citofono era infatti davvero rotto e lo avevano riparato i carabinieri prima dell’arrivo dei tecnici. Dettaglio che tuttavia non apparve in alcun verbale.
La terza prova furono le confessioni ritrattate di Olindo e Rosa, zeppe di errori, nonostante fossero state rilasciate guardando le foto della scena del crimine: uno ogni 30 secondi per lui, praticamente ad ogni descrizione della scena. Mentre a Rosa fu necessario far sentire tutte le dichiarazioni del marito perché potessero combaciare. Non sapevano manco che la luce era stata staccata: e infatti descrissero gli abiti e dettagli che solo chi guardava le foto poteva raccontare, dato che in quell’appartamento, alle 8 di sera in pieno inverno era buio pesto.
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LE PAROLE DI OLINDO ROMANO
Ora Olindo parla dal carcere all’Adnkronos: “Sono passati sedici anni dalla strage di Erba, ci sto riflettendo parecchio in questi giorni. Forse è arrivato il momento di fare un po’ di chiarezza”. E racconta la sua vita che dal 2007 non è più cambiata: “In cella la vita è sempre quella, nulla di nuovo. Per passare un po’ il tempo continuo a lavorare in cucina, per il resto sto senza far niente tutto il giorno, spesso in compagnia di qualche altro detenuto costretto come me in questo carcere”.
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LE NUOVE PROVE
Dice di sperare nella revisione alla luce di “nuove prove e un testimone chiave”. Per buona parte si tratta delle intercettazioni scomparse scovate negli anni dal settimanale Oggi, che misero in luce anche un sicuro colloquio avvenuto tra Frigerio e i carabinieri, mai finito agli atti, la mattina di Natale del 2006, il giorno prima che dal testimone arrivassero i pm per raccogliere la nuova versione del superstite, che per la prima volta avrebbe indicato in Olindo il suo aggressore. Anche il testimone è stato trovato e intervistato per la prima volta da Oggi: si tratta del tunisino Abdi Kais, all’epoca ufficialmente residente nell’appartamento di Raffaella e del marito Azouz Marzouk.
Uno spacciatore che indicava una pista ben diversa e con un movente vero per un eccidio del genere: quello dello spaccio di droga e della lite, già sfociata in aggressioni e accoltellamenti, tra il gruppo di tunisini e quello di alcuni, ben precisi, marocchini. Olindo ringrazia il suo avvocato Fabio Schembri, che con Luisa Bordeaux e Nico D’Ascola è tra i suoi difensori storici.
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E aggiunge: “È sempre stato convinto della mia innocenza e di quella di Rosa e non è più l’unico, grazie a Dio, a credere che io e mia moglie non abbiamo commesso la strage di Erba. Non so perché non sia stata approfondita la pista dello spaccio di droga, continuo a pensare che sia stato più semplice incastrare due persone come noi non sveglissime e inconsapevoli di quello che ci stava piombando addosso”.
NOI, ABBINDOLATI
Facendo mente locale, torna a quando finirono nel mirino degli inquirenti: “Mi capita di ripensare a quei giorni e a come ci hanno abbindolato e preso in giro, tanto che solo quando ci hanno portato al Bassone” ovvero al carcere di Como “ci siamo accorti che i sospettati eravamo noi. Da allora tutto è assurdo e continua a essere irreale. Io le liti dalla casa di Raffaella e Azouz le ricordo bene, litigavano spesso, ma non per questo abbiamo pensato di fare una strage. E, in effetti, non c’entriamo nulla. Chi è stato? Non lo so, diversamente lo avrei già detto ai miei avvocati, ma di certo una strage simile può farla solo chi è abituato a fare quelle cose, non penso sia facile improvvisare un fatto del genere così efferato”.
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FRIGERIO, UNA BRAVA PERSONA
Quanto a Mario Frigerio, oggi scomparso e che portò l’indagine su di loro, spiega: “Frigerio è stato utilizzato come noi. Ripenso a quell’uomo, quando lo incontravo: era una brava persona, per questo credo che abbiano manipolato i suoi ricordi per farlo testimoniare contro di noi. Io lo considero una vittima come noi”. Ma che fosse una brava persona, a dire il vero, non lo sostiene solo ora. Lo ripeteva alla moglie in continuazione, sperando che si salvasse per incastrare gli assassini, nelle intercettazioni in casa della coppia, considerate non utili dai carabinieri e mai finite nel fascicolo del dibattimento.
IO E ROSA
Tanti anni più tardi, Olindo pensa sempre alla moglie: “È dura, ma in qualche modo la vita in carcere va avanti, vedo Rosa appena è possibile. Due giorni prima di Natale sono andato a colloquio da lei a Bollate e sono contento. Mi tiene a galla il pensiero che prima o poi, spero prima che poi, si possa accertare che non abbiamo commesso noi la strage di Erba”.
Edoardo Montolli per Oggi.it