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I grandi successi dell’Italia: una storia tutta da ridere (per non piangere)

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Non più tardi di due settimane fa vi raccontavamo come i titoli trionfalistici dei giornali sull’occupazione record in Italia dedotta dai dati Istat fossero il frutto di un’analisi piuttosto equivoca di quei numeri, documentandovi la realtà dei fatti: ovvero in Italia le cose non vanno male, vanno peggio.

Oggi la Cgia di Mestre annuncia una crescita del nostro Pil da record, tale da doppiare Francia e Germania: «Quest’anno – scrive il centro studi – abbiamo “sbaragliato” tutti, dimostrando di esserci lasciati alle spalle con successo la crisi pandemica». Nientemeno. Guardando meglio si precisa che nella pandemia il nostro Pil nel 2020 era crollato del 9%, mentre Parigi aveva perso il 7,8 e Berlino solo il 3,7. Quindi, in teoria, stiamo solo risalendo la china che più di tutti avevamo perso.

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Invece no: «Anche allargando l’arco temporale di osservazione (terzo trimestre 2020 su terzo trimestre 2022), lo score del nostro Paese è stato superiore a quello dei nostri competitori. Se in Italia il Pil è aumentato del 7,5 per cento, in Francia l’incremento è stato del 4,6 per cento e in Germania del 3,2 per cento». Come sia possibile che chi, come noi, ha fatto -9 e poi +7,5 abbia numeri migliori di chi, ha fatto, come la Germania -3,7 e +3,2, fa parte dei misteri statistici che non capiremo mai, abituati come siamo a far di conto su numeri reali. Ma sarà senz’altro così.

E allora a cosa è dovuto un tale incremento del Pil? Lo spiega lo stesso rapporto: i dati sono in parte “condizionati dall’aumento dei prezzi”. Pensa che fortuna: la spesa ci costa di più e noi siamo considerati più ricchi. Basta? Ma no.

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La produzione nel settore delle costruzioni è aumentata del 14,1%. Ci vien da pensare, dato che oggi nessuno è così matto da comprarsi casa e aprire un mutuo, che abbia influito in maniera significativa il Superbonus al 110%. Un Superbonus che alla gente non è costato nulla. Ma lo Stato, per l’Enea, ha sborsato qualcosa come 60,5 miliardi. Sicchè la crescita del Pil sarebbe dovuta, per la gran parte, dai prezzi alle stelle e dalle spese fatte dallo Stato che, per inciso, paghiamo sempre noi, grazie ad una pressione fiscale che nel 2022 è volata al 43,8%, una percentuale mai raggiunta prima. Un affarone.

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A novembre, poi, l’inflazione per l’Istat si è attestata all’11,8%, con aumenti record degli energetici che sfiorano quote tra il 60 e il 70%. E l’indice ai prezzi al consumo su base annua è schizzata al 12,6%. Confindustria comunica che la liquidità delle piccole e medie imprese si sta «deteriorando rapidamente» e che c’è una corsa all’indebitamento che prosegue incessante dai tempi del lockdown. Strano a dirsi, insomma, le elemosine di Stato e le demenziali politiche dei bonus monopattini non sono bastate a rimettere in sesto i conti.

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A settembre Mario Draghi veniva premiato come statista dell’anno dalla Appeal of Conscience Foundation a New York: «Con te il mondo ha fiducia nell’Italia». E in effetti abbiamo battuto ogni record: in campo giuridico, grazie all’obbligo vaccinale agli over 50, abbiamo eguagliato celeberrime culle del diritto come il Tagikistan, il Turkmenistan, la Micronesia e l’Indonesia, unici ad averlo applicato prima di noi. In campo economico, oltre a quelli già citati, possiamo vantare un altro record nel 2021: per Eurostat, la percentuale di giovani tra i 15 e i 29 anni nell’Ue che non lavoravano né frequentavano corsi di istruzione e formazione variava dal 5,5% dei Paesi Bassi al 23,1% dell’Italia.

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Una strategia così acuta meritava di essere esportata. In campo internazionale abbiamo così furbescamente spinto per il price cap al gas russo, certi di avere un asso nella manica per sostituirlo. Alla fine è stato ottenuto a 180 euro per megawatt ora. Il neoministro dell’energia Gilberto Pichetto Fratin ha esultato: «È una vittoria dell’Italia». Come no. Peccato che per applicare il tetto, il prezzo del gas debba salire per 3 giorni di fila sopra i 180 euro e la differenza con il gnl debba essere almeno di 35 euro. In caso di emergenze per il rifornimento, poi, il tetto salta. Mosca ha annunciato reazioni, ma probabilmente si è messa a ridere.

O almeno c’è da sperarlo. Il motivo è semplice: al Parlamento Europeo è scoppiato il Qatargate, per via delle mazzette che taluni funzionari e politici, al momento quasi esclusivamente italiani, avrebbero preso per far passare una patria dei soprusi come il Qatar per un Paese all’avanguardia sui diritti civili. Doha, che respinge le accuse e che ha visto la sua immagine compromessa, minaccia ora di non vendere più il suo gas all’Ue.

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E indovinate un po’ chi rischia di rimetterci di più, avendo aumentato le commesse proprio da questo Stato considerato da Lorsignori molto più “civile” della Russia che hanno voluto sanzionare? Ce lo dice un titolo di Repubblica: «Doha minaccia: “Niente gas alla Ue”. Italia è il partner più a rischio forniture».

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