Liliana Resinovich, ad un anno dalla scomparsa è ancora buio fitto. I dubbi del fratello, le ipotesi dei criminologi e il codice segreto che avrebbe usato con Claudio Sterpin: tutti i punti del caso
Com’è morta davvero Liliana Resinovich? Fu davvero un suicidio o si trattò di morte naturale? O di altro ancora? Ad un anno dalla sua scomparsa le indagini non sono ancora chiuse.
Fonti della Procura fanno sapere che non esiste un termine perentorio nel fascicolo aperto contro ignoti per sequestro di persona.
I dubbi del fratello
Il fratello di Liliana, Sergio, dice al Corriere della Sera: «Una settimana prima della sua scomparsa. Mi ha telefonato e ci siamo incontrati al porto della città. In un bar latteria abbiamo preso il caffè. Era di buon umore. Aveva le idee molto chiare. Avrebbe voluto accompagnare mia figlia in Inghilterra per imparare la lingua». E spiega: «Credo che l’atto del suicidio sia stato montato, come una sceneggiata, per farlo sembrare tale. Purtroppo la Procura di Trieste si è trovata in una situazione difficile».
Quanto al fatto che l’autopsia non rilevi violenze sul corpo: «Ci sono due autopsie. E dicono cose diverse. Dalla prima risultava che il viso era come se avesse preso un pugno, c’era del sangue dalla narice del naso, la lingua morsicata e altri colpi sulla gamba e sul seno. Io credo che sia morta il giorno della scomparsa. Altrimenti mi devono dire cosa ha fatto Liliana fino a gennaio».
Già, cos’ha fatto? Riavvolgiamo il nastro dall’inizio.
La scomparsa di Liliana Resinovich
La mattina del 14 dicembre, Sebastiano Visintin esce dall’abitazione alle 7,45 per andare a consegnare dei coltelli che affila per arrotondare da quando è in pensione. Quindi, dirà «senza passare da casa, sono andato a farmi un giro in bici sull’Altopiano. Ho girato anche dei video che ho consegnato alla Questura».
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Liliana viene vista passare per strada dalla fruttivendola tra le 8,15 e le 8,30. La immortala una telecamera di un autobus in una piazza vicina alla sua abitazione. Alle 8,22 chiama un amico di lunga data, Claudio Sterpin, ex maratoneta di 82 anni, della cui frequentazione il marito sosterrà di non aver mai saputo nulla. Sterpin: «Avevamo deciso di trascorrere un weekend insieme». Comunque sia, a Claudio, Liliana dice che sarà da lui alle 10, dopo essere passata in un negozio della Wind, dove però non arriverà mai.
Cosa le è dunque successo tra le 8,30 e le 10 di quella mattina? Una seconda domanda sorge spontanea: dato che aveva lasciato i suoi due cellulari a casa, è possibile che, arrivando alla Wind se ne sia accorta e sia tornata indietro?
Il giallo
Il cadavere viene trovato nel parco dell’ospedale psichiatrico, area molto frequentata di giorno e aperta, il 5 gennaio. In posizione fetale, è infilata in due sacchi della pattumiera e intorno alla testa ha due sacchetti stretti con un cordino. Niente di più ovvio che si tratti di omicidio.
Invece no. Il referto autoptico non parla di lesioni o violenze, ma solo di “scompenso cardiaco acuto”. La Procura indaga contro ignoti solo per sequestro di persona.
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La perizia
La perizia non chiarisce. Il professore di Medicina legale Fulvio Costantinides e il medico radiologo Fabio Cavalli sostengono infatti in 50 pagine che la donna si sarebbe suicidata per assenza di “qualsivoglia segno ragionevolmente riportabile a violenza per mano altrui”, per la mancanza “di lesioni attribuibili a difesa”.
Per il fatto che i sacchi integri che ne contenevano il cadavere sono “poco compatibili” con un caso di aggressione e con il trasporto del corpo “in ambiente impervio”. E dunque “non emerge alcunché che concretamente supporti l’intervento di mano altrui nel determinismo del decesso”.
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Quanto alla morte, che fino a quel momento sapevamo essere avvenuta per un mai chiarito “scompenso cardiaco acuto”, non si esclude una morte per asfissia dopo che Liliana s’infilò un sacchetto in testa. Infine, dettaglio ulteriormente sconvolgente, la donna sarebbe morta al massimo “due, tre giorni prima del ritrovamento”.
Non solo. Liliana sarebbe morta non il 14 dicembre, giorno della scomparsa, ma pochi giorni prima che il suo cadavere fosse ritrovato, per quanto, nello stomaco, ci fossero gli stessi resti della colazione consumata il 14. Dove sarebbe stata tutti quei giorni, mentre l’Italia intera la cercava? E com’è possibile che sia morta poco dopo aver mangiato gli stessi alimenti del 14 dicembre?
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La ricostruzione
Secondo tale ricostruzione, dunque, Liliana la mattina del 14 dicembre uscì con una borsetta vuota, senza cellulare, nè documenti. E sarebbe stata in giro o nascosta, senza essere notata da nessuno per tre settimane. Quindi, ai primi di gennaio, si sarebbe diretta al parco dell’ex ospedale psichiatrico, si sarebbe infilata in due sacchi e altri due sacchetti se li sarebbe stretti sul collo, suicidandosi. Difficile crederlo. Però la criminologa Gabriella Marano porta argomenti in grado di smentire l’ipotesi del suicidio.
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La fede nuziale di Liliana Resinovich
Scrive infatti Marano su Facebook: “Circa l’epoca della morte di Liliana, tra i tanti, vi è un dato nella consulenza medico-legale che, se analizzato in modo sereno e approfondito, ci dice che la morte è avvenuta il giorno stesso della scomparsa: il medico incaricato dalla Procura descrive infatti che sull’anulare della mano sinistra, prima falange, è possibile rinvenire un’area depressa con ogni probabilità causata dal fatto che la donna indossasse un anello (la fede) che, come successivamente acquisito, il giorno della sua scomparsa la donna avrebbe lasciato a casa. Tale dato, ricorrendo ad una massima di esperienza e ad una sperimentazione di natura empirica, ci dice in modo incontrovertibile che se Lilli fosse realmente rimasta in vita per ulteriori tre settimane, quell’area depressa non poteva essere presente, in quanto, ripetesi, attraverso una semplice prova empirica realizzata pure dalla scrivente, l’area depressa in parola, spontaneamente, in ragione della elasticità della pelle, si sarebbe risolta, magari lasciando solo una leggera discromia”.
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La colazione
Ma non basta: “Inoltre, sempre dal punto di vista fattuale, appare assolutamente inverosimile ed illogico che il 2/3 gennaio la donna avrebbe consumato la stessa colazione che, dalle dichiarazioni pubbliche del marito e dalla constatazione direttamente acquisita dal fratello Sergio Resinovich che ha potuto vedere, in data 18/12/2021, dei contenitori di multivitaminici e un panettone con uvette tagliato a fette nella cucina della casa di Lilli”.
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L’ipotesi di Carmelo Lavorino
Il giallista Rino Casazza intervista il celebre criminologo Carmelo Lavorino.
Eccone i passaggi salienti:
Non trova che ci sia una sconcertante indecisione nei pronunciamenti dei periti medico legali?
Mi permetta di dissentire. L’esperienza insegna che, spesso, gli incaricati dell’autopsia tendono a forzare le conclusioni oltre quanto consentito dagli elementi obiettivi, condizionando così le indagini. In questo caso, invece, la pur approfondita analisi anatomatopologica non ha potuto stabilire con certezza se la povera Liliana sia morta per suicidio o per omicidio. Il compito di chiarirlo spetta all’attività investigativa sul campo e per fortuna oggi, come spiego nei miei scritti teorici, l’investigazione criminale dispone di principi e metodologie consolidati, in grado di risolvere un caso di morte ambigua: raccogliendo, coordinando e interpretando prove e indizi della natura più disparata, come ad esempio tracce papillari e genetiche sulla scena criminis, analisi dei tabulati telefonici e del posizionamento geografico dei cellulari, filmati di telecamere di sorveglianza e molto altro.
Sono però passati ormai nove mesi dal ritrovamento del corpo di Liliana Resinovich. Tutto ciò non dovrebbe essere già stato fatto?
Sono sicuro che la polizia giudiziaria abbia provveduto a reperire e catalogare gli elementi utili. Per quanto riguarda la loro ricostruzione al fine di risolvere il mistero, ricordo che il tempo prescritto dalla legge per concludere l’indagine è due anni. Vista l’indubbia complessità di questo caso, non siamo in ritardo, anche perché gran parte del tempo lo ha assorbito la perizia necroscopica, particolarmente lunga e laboriosa. Nel frattempo, sono andate avanti le altre indagini. Si tratta ora, come dicevo, di effettuare ulteriori approfondimenti investigativi mirati per mettere insieme gli incastri del puzzle. Al riguardo, preannuncio che io e il mio pool di collaboratori abbiamo deciso di mettere a disposizione della magistratura inquirente la nostra esperienza, proponendoci come consulenti. Senza voler insegnare niente a nessuno, riteniamo di poter dare un contributo utile. Attendiamo una risposta.
Prima che un eventuale incarico ufficiale le imponga il segreto istruttorio, approfitto per chiederle qualche indicazione per i lettori. È noto che non ci fossero tracce di violenza sul corpo di Liliana. Se, come suggerisce la perizia medico legale, la donna è morta per asfissia a causa dei sacchetti infilati in testa e legati al collo, com’è possibile che non ci siano segni di difesa da parte sua nei riguardi dell’assassino?
Ribadisco ancora che non bisogna affrettare le conclusioni prima di aver conosciuto, analizzato e confrontato tutti i dati raccolti dalla polizia giudiziaria. Osservo solamente che, per esempio, Liliana nel momento in cui l’ipotetico assassino l’ha soffocata coi sacchetti, poteva trovarsi fortemente debilitata da un malore, oppure, è un atto di autolesionismo alla quale è seguita l’opera del soggetto ignoto. È solo un’ipotesi, ma spiegherebbe perché non abbiamo segni di reazione.
Il corpo è stato rinvenuto in un parco molto frequentato. Perché l’assassino avrebbe scelto di trasportarlo lì? Quella zona d’Italia è famosa per le “foibe”: non sarebbe stato più logico far precipitare il cadavere dentro una di esse?
Innanzitutto è facile verificare come il luogo del ritrovamento sia molto più isolato e nascosto di quanto si creda. Inoltre, la composizione ordinata del cadavere sembra dimostrare che l’omicida nutrisse affetto e rispetto per la vittima, quello che in criminologia investigativa chiamiamo “negazione psichica – disfacimento del crimine: UNDOING”. Questo, aggiungo, non deve orientarci verso i sospetti, marito ed amico speciale, su cui si sono concentrati i giornali. Potrebbe trattarsi anche di un altro soggetto. E c’è di più da aggiungere.
Cosa?
Come nel caso di Serena Mollicone, si potrebbe intravedere, nell’assassino, la cosiddetta “sindrome del doppio”, consistente nella mania di raddoppiare gli accorgimenti per confezionare e comporre il cadavere: due sacchetti di plastica stretti alla gola, due sacchi per la spazzatura ad avvolgere il corpo. Inoltre non è da escludere che, come nel caso di via Poma, le condizioni del cadavere al ritrovamento siano il risultato di una “doppia catena causale”, ovvero agli atti compiuti dall’assassino (o da Liliana) si siano aggiunti quelli di un’altra persona che ha composto il corpo. A costo di essere ripetitivo, comunque, ribadisco che qualsiasi teoria deve combaciare con tutti gli elementi raccolti e, senza conoscerli e averli valutati, non è possibile esprimersi con certezza.
Il codice segreto
Sterpin parla all’ultima puntata di Chi l’ha visto? E sostiene che con Liliana utilizzava un codice per comunicare senza essere scoperti dal marito Sebastiano: «Quando sei triste pensa che ti amo è un messaggio che non si manda a una persona qualunque. Giocavamo un questo modo perché non si capiva più di tanto».
E ricorda ancora il 14 dicembre: «L’avevo chiamata 4 volte quel giorno, poi l’ultima intorno alle 15, l’unica a cui ho avuto risposta. Poi alle 21.30 il mio numero è stato bloccato, proprio nel momento in cui andavo in Questura a denunciare la scomparsa di Liliana. Non mi aspettavo potesse mai succedere una cosa del genere. Sono stato accusato di aver inventato tutto, ma come avrei potuto?»
Sebastiano risponde così: «Non sarò io a dire se Sterpin è un bugiardo, è lui che deve dimostrare che dice la verità. Se ci sono delle prove di qualcosa io mi inchino a lui anche se si deve riconoscere che ha infangato Liliana, non conosce e non sa cosa è l’amore».
Ad un anno dalla scomparsa, il mistero è ancora fitto.
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