Un libro del giallista Rino Casazza sul delitto di Avetrana mette in campo numerosi dubbi sulla colpevolezza di Sabrina Misseri e di sua mamma Cosima Serrano per l’omicidio di Sarah ScazziIl volume, che ospita anche le lettere di Michele Misseri e dell’altra figlia, Valentina, raccoglie anche le esplicite dichiarazioni innocentiste di Roberta Petrelluzzi, di Un giorno in Pretura, e dei documentaristi Cristiano Barbarossa e Fulvio Benelli
È possibile un’altra verità sul delitto di Avetrana? Furono davvero Sabrina Misseri e sua mamma Cosima Serrano a uccidere la quindicenne Sarah Scazzi, cugina della prima e nipote della seconda?
Di certo si tratta di un caso giudiziario unico, in cui il reoconfesso, Michele Misseri, è stato assolto dal delitto. Mentre all’ergastolo sono finite la moglie e la figlia, che da sempre si protestano non colpevoli. Un particolare per il quale il contadino non si dà pace e scrive in una lettera: “Tutto quello che mi fa rabbia è che io faccio trovare tutto e mi credono innocente”.
Già. L’intera vicenda, compresa questa missiva, viene ricostruita nell’ultimo libro del giallista Rino Casazza. Il titolo è emblematico: “Il delitto di Avetrana. Perché Sabrina Misseri e Cosima Serrano sono innocenti” (Algama, su Amazon e in ebook su tutti gli store). Ed è introdotto dalla prefazione del massimo avvocato penalista italiano, Franco Coppi, che prese a cuore, invano, il caso di queste due donne.
VOLEVO LASCIARE TUTTO
Una vicenda che lo ha amareggiato a tal punto da aver pensato di abbandonare le aule dei tribunali: “La ferma, motivata convinzione dell’innocenza di Sabrina e di Cosima e dell’evidenza di chi fosse stato l’autore dell’orrenda uccisione di Sarah Scazzi, dall’altro lato la successione ininterrotta di errori, pregiudizi, falsità – e via dicendo – e di incomprensibili – almeno per me – sentenze di condanna, nonostante la Corte di Cassazione avesse per due volte annullato i provvedimenti di custodia cautelare in carcere per mancanza di indizi di colpevolezza, avevano generato uno sconforto, uno smarrimento e quasi la paura dell’inutilità e della vanità dell’opera della difesa mai prima provati, tanto intensi e così forti da spingermi all’abbandono”.
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Casazza scava nelle indagini e nei tanti processi satellite, generatisi quando la Procura puntò l’indice su mamma e figlia, indagando un gran numero di persone con l’accusa di non aver detto la verità. E si sofferma, in particolare, sulla testimonianza chiave della vicenda: quella del fioraio Giovanni Buccolieri, il quale però tuttora sostiene che quanto dichiarò alle forze dell’ordine altro non era che un sogno.
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Proprio su questo aspetto la difesa delle due donne ha fatto ricorso alla Corte di Strasburgo, superando l’esame di ammissibilità.
Spiega l’avvocato Nicola Marseglia, altro difensore di Sabrina e Cosima, all’autore del libro: “Il ‘sogno del fioraio’ è noto. È sufficiente dire che l’autore lo ha definito tale e che quelli che hanno raccolto dall’inizio le sue confidenze hanno dichiarato che Giovanni Buccolieri ha parlato loro sempre e soltanto di un sogno. Se la CEDU dovesse accogliere il ricorso presentato dalla difesa sarebbe sicuramente più agevole la strada della revisione della sentenza di condanna, che andrebbe avviata in ogni caso alla luce dei nuovi elementi di prova scoperti successivamente al giudizio o comunque non esaminati nel corso dello stesso”.
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DALLA PARTE DI SABRINA E COSIMA
Ma dalla parte di Sabrina e Cosima ci sono anche Cristiano Barbarossa e Fulvio Benelli, autori del documentario andato su Discovery Tutta la verità. E uno dei volti più noti della cronaca giudiziaria, ovvero Roberta Petrelluzzi di Un giorno in pretura: “Possibile – si chiede la giornalista – che Sabrina sia stata spinta a uccidere Sarah, che per lei era come la sorellina più piccola, per gelosia di un giovanotto molto più grande della cuginetta? Ancora più difficile da credere che la zia Cosima abbia potuto farle del male per un motivo del genere, dopo che l’aveva sempre benevolmente e affettuosamente accolta in casa propria, presso la quale trascorreva addirittura la maggior parte del tempo. Ed è per tutto questo che penso che nel cosiddetto ‘processo di Avetrana’ non si sia fatta giustizia”.
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ANCH’IO POTEVO ESSERE IN CARCERE
Michele è disperato per il fatto che moglie e figlia non abbiano mai risposto alle sue lettere di scuse e continua a giurare di essere l’assassino: “Io ho sempre detto che il vero colpevole sono io, ma nessuno mi vuole credere, ma tutti proprio tutti sanno che io sono il vero colpevole e lo sono tuttora. Il rimorso me lo porto per tutta la vita, i giudici hanno paura di dire che hanno sbagliato e hanno messo due innocenti in carcere”.
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Ma a inquietare è ciò che scrive l’altra figlia, Valentina, che all’epoca dell’omicidio si trovava a Roma con il marito:
“Non ho mai creduto molto nei miracoli. Ma posso dire, invece, di essere una miracolata. Questo perché se fossi partita solo un giorno dopo da Roma, dove mi trovavo, per andare ad Avetrana, adesso sarei sicuramente in carcere con mia sorella Sabrina e con mamma. Dico questo perché anche io sarei andata assieme a loro dai carabinieri e poi a controllare la maturazione dell’uva della mia vigna, in un terreno che agganciava la cella telefonica che copriva anche la zona di San Pancrazio Salentino, un paesino vicino ad Avetrana.
La stessa cella che aggancia molti luoghi in quella zona, visto che per dimensioni Avetrana non è certo Milano o Roma. E che aggancia quindi anche, e non solo, la zona del pozzo dove è stato trovato il corpicino di Sarah. Per gli inquirenti la “prova” che mia madre e mia sorella sarebbero andate lì, al pozzo e non alla vigna, a controllare se il corpo di Sarah fosse stato occultato bene da mio padre. “Prova”, quella in realtà del controllo del livello dello zucchero negli acini d’uva, che avrebbe “inchiodato” anche me. Oggi, per questa semplice attività, che è una consuetudine di chi ha una vigna, sarei in galera”.
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