La storia nel narcos pentito Jota Cardona viene narrata dallo svedese Thomas Salme nel documentario Rescued from Hell: The Story of Jota Cardona, disponibile su Netflix. L’autore è lo stesso che ha realizzato una serie su Chico Forti.Per una vita Jota Cardona ha lavorato al fianco di Jose Gonzalo Rodriguez Gacha, alias El mexicano, braccio destro di Pablo Escobar, e ha trattato con la Vedova Nera Griselda Blanco.Ha trafficato droga negli Stati Uniti per il cartello di Medellin, prima di decidere di collaborare con la Dea e restituire 50 milioni di dollari.Cronaca Vera gli ha posto alcune domande. Ecco come vive oggi.
MIAMI- Jota Cardona è nato nel 1958. All’anagrafe è Francisco Javier Ramirez Cardona. Ma di vite ne ha vissute già tre: quella del ragazzino poverissimo del quartiere di Aranjuez, Medellin, picchiato da un padre violento e alcolizzato. Quella del boss irriducibile del mondo del narcotraffico, che faceva soldi a palate e non guardava in faccia a nessuno.
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E quella di oggi, tra le strade di Miami, senza più un dollaro in tasca, mentre cerca di convincere i giovani a stare lontani dal mondo della droga, perché si finisce davvero male. E se lo dice lui, il minimo è ascoltarlo. Perché è uno che avrebbe dovuto scontare qualcosa come due ergastoli e rotti, ma che da quando decise di collaborare con la Dea, l’agenzia antidroga americana, ha cambiato totalmente prospettiva: è uscito dopo 18 anni di cella.
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E ha restituito allo Stato 50 milioni di dollari. Ha raccontato tutto in un libro e nel documentario Rescued from Hell: The Story of Jota Cardona, disponibile ora su Netflix. L’autore è lo svedese Thomas Salme, che recentemente aveva realizzato una serie per Discovery su Chico Forti, l’italiano ingiustamente detenuto in America per un omicidio mai commesso. È proprio Thomas a farci incontrare Jota.
L’INFANZIA VIOLENTA DI JOTA CARDONA
«Sono cresciuto in una famiglia numerosa» dice. «Mio padre era spesso ubriaco e mi picchiava. Eravamo davvero poveri. Non andavo sempre a scuola e non volevo più vivere in quel modo, maltrattato e senza un soldo…»
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È così che iniziò, per soldi. Ma all’inizio non c’era di mezzo la droga: «Vendevo carte di credito false della Visa, ma presto mi arrestarono». Solo che all’epoca Medellin è il cuore mondiale del narcotraffico, conta 360 omicidi ogni centomila abitanti, quasi venti al giorno. Per chi frequenta il carcere entrare in contatto con gli stupefacenti è inevitabile. Succede anche a lui, che diventa un piccolo spacciatore.
Si compra una moto e frequenta un parcheggio dove si ritrovano i bandidos: «Un giorno arrivò una Bmw elegante. E scese una signora con i vestiti firmati. Tutti la venerevano e la omaggiavano, baciandole la mano. Perfino i bandidos. Non riuscivo a crederlo. Chiesi ad un amico chi fosse. E mi rispose: “Una mafiosa”. Anch’io allora, risposi, voglio diventare un mafioso».
La donna era Griselda Blanco, la Vedova Nera della Colombia, morta con l’ombra di 200 omicidi commissionati sulle spalle e tonnellate di cocaina sparse per il mondo. Roba che gli sceneggiatori di Breaking Bed nemmeno s’immaginano. Di fatto, il padre di Jota muore di cancro che lui ha ancora 15 anni e il ragazzo, senza più controlli sul suo comportamento e dovendo tirarsi su le maniche per mantenersi, si trasferisce a New Haven, per raggiungere due sorelle che si sono trasferite negli Stati Uniti, perché in Colombia la terra sotto i piedi comincia a bruciare.
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Fa l’operaio, ma dura poco: «Volevo soldi, volevo farne sempre di più» ci racconta. E in effetti sta per farne tanti. Ricomincia a spacciare, poi capisce il meccanismo. E le quantità di droga che acquista sono sempre di più. Diventerà preso il signore della droga del Connecticut: la merce arriva a Miami. Poi, per come la racconta, è tutto facile.
Entra in rapporti con Jose Gonzalo Rodriguez Gacha, alias El mexicano, braccio destro di Pablo Escobar, che gestisce gli assassini del cartello di Medellin: «Escobar era amato da un sacco di gente. Abbiamo fumato insieme marjiuana. All’apparenza era un uomo tranquillo, ma se provavi ad andargli contro non duravi a lungo, eri un uomo morto». Ma come faceva a sfuggire alla polizia?
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IL TRAFFICO DI DROGA
«La droga arrivava al porto di Miami attraverso le Bahamas. E gli scambi con il denaro avvenivano nei grandi silos, i parcheggi della città: i soldi nell’auto, la cocaina nel furgone. All’epoca non c’erano telecamere. Si potevano scambiare così anche grandi quantità di stupefacenti».
Ci sono anche altri metodi, quelli per via aerea. Ma costano di più. Il prezzo all’epoca la coca è di 2500 dollari al kg. Ne servono 2mila per caricarla sull’aereo e altri 5mila per scaricarla, perché ogni step presenta una fase di rischio, qualcuno che ci mette del suo. E ogni passaggio ha il suo prezzo, a partire da quelli che devi corrompere. I narcos recuperano 16mila dollari, ma 2mila tornano a Medellin. Rimangono 4500 dollari al chilo. Comunque una bella cifra.
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Jota, a vent’anni o poco più maneggia milioni. Lo arrestano certo, ma non ci pensa minimamente a parlare. Anzi, da un carcere dell’Indiana è protagonista di una clamorosa fuga, grazie alla mediazione di una ragazza: «In cambio mi chiese una notte di sesso, perché non lo facevo da due anni, essendo recluso. Mi parve un ottimo affare». Arriva a Chicago e poi a Los Angeles. Da lì è una corsa in taxi fino a Tijuana, poi Città del Messico e di nuovo a Medellin.
Sulla testa ha ormai una taglia da 50mila dollari. Ma fa la bella vita che sognava da bambino: soldi, donne e champagne. Tanto che quando a New York incontra Griselda e le rammenta l’episodio del loro primo incontro, di quando Jota aveva 15 anni, lei gli dice: «Davvero vuoi diventare come me?» E lui azzarda: «Io sono già come te». Ma com’era Griselda? «Una matta, completamente fuori di testa».
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LA CONVERSIONE
Ma quello dei narcos è un ambiente sanguinario. Due colombiani mettono in giro la velenosa voce che Jota abbia fatto uno sgarro al cartello, ma non è vero. Di certo, l’ultima volta che lo prendono, la condanna per traffico si prospetta pesante. Jota in carcere si avvicina alla religione, dice di avere avuto «un’illuminazione da Dio». Alla fine decide di collaborare. E per dimostrare la sua buona fede rende allo Stato tutti ciò che ha: 50 milioni di dollari.
Ma probabilmente dentro di lui ha fatto leva un rimorso che non si è mai tolto di dosso. E che non riguarda strettamente la sua attività criminale, ma ciò che successe con il suo amato fratello minore: gli voleva mostrare la sua Beretta 380 e pensando fosse scarica, sparò, centrandolo al cuore. Morto a 16 anni. Omicidio colposo, per gli inquirenti. Ma Jota non si è mai perdonato. Prima di quell’ultimo arresto con la testa non c’era più: «Uscivo armato di due pistole, sparavo per strada litigando con gli automobilisti. Dentro di me speravo che qualcuno mi ammazzasse».
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LA NUOVA VITA
Da quindici anni con quella vita ha chiuso. Non è più tornato in Colombia, perché sa che probabilmente non ne uscirebbe vivo. Abita a casa della sorella a Miami, non ha scorte, nè protezione dallo Stato e non può ignorare che non sia estremamente difficile raggiungerlo: «Io sono un uomo morto, però non ho paura che mi sparino» assicura.
Con altri narcos pentiti mette in guardia i giovani dal cartello. Li ferma per strada, prova a parlar loro e a far presente che in fondo al tunnel c’è solo una brutta morte. Quei soldi che sognava da bambino non li ha più. Ma dice che non gli importa. Ai giornali spagnoli, negli ultimi anni, ha fatto precise accuse contro esponenti del governo del Venezuela e contro funzionari di quello argentino.
E ci conferma: «Purtroppo in Sudamerica c’è molta corruzione. E, in particolare in Venezuela, i narcos sono molto agevolati nel trasporto della cocaina, che è ancora la droga più venduta. Ma non comandano più i colombiani. Al vertice di tutto ci sono i messicani. Sono loro i padroni dei laboratori di Medellin, sono loro che collaborano con la ‘ndrangheta».
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Forse è per questo che nessuno lo ha ancora cercato: il vecchio mondo che conosceva e frequentava si è disgregato, spazzato via dalle nuove leve, forse ancora più feroci, ma con le quali non ha mai avuto nulla a che fare. Criminali italiani ne ha mai conosciuti? «No, solo un italoamericano, John Gotti». Era il capo della famiglia Gambino a New York. Jota alza le spalle: fa tutto parte di un’epoca che non c’è più.