Per cinque anni di gogna e sospetti ingiusti che fosse il vero Unabomber il risarcimento è troppo basso: l’ingegner Elvo Zornitta rifiuta il risarcimento e si appellaIncastrato con un lamierino manomesso da un poliziotto condannato definitivamente, Zornitta vuole più di un milione.Senza vergogna lo Stato che si appella per pagare di meno. Lui: “Al momento, peraltro, non ho visto manco un euro”
VENEZIA- L’ingegner Elvo Zornitta non ci sta. E ritiene troppo basso il risarcimento da 300 mila euro stabilito dal tribunale civile di Venezia per la gogna che subì con l’ingiusto sospetto che fosse Unabomber. Ovvero lo psicopatico bombarolo che dal 1994 al 2006 terrorizzò il Nordest, Friuli e Veneto, in una trentina di attentati, con ordigni esplosivi celati in tubi di gomma, ovetti sorpresa, confezioni di maionese, sellini di biciclette; colpendo strade, chiese, spiagge, supermercati. Uno che non rivendicò mai le proprie azioni.
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Nel 2004, un pool di più Procure mise infine nel mirino l’ingegnere. Ne perquisirono casa, lo tennero d’occhio giorno e notte. Eppure Unabomber avrebbe continuato a colpire almeno altre cinque volte. A nessuno venne in mente di aver preso un granchio.
Anzi, gli inquirenti sembrarono averlo in pugno grazie a prove granitiche, che granitiche non lo erano affatto. La sua immagine e la sua professione vennero colpite duramente dall’inchiesta. Solo nel 2009 tuttavia la sua posizione fu archiviata con tante scuse. Ma le scuse non bastano e non possono bastare, perché non si trattò di un mero errore.
IL POLIZIOTTO CONDANNATO
A portare Zornitta sulla scena del crimine era infatti il lamierino che componeva l’ordigno ritrovato integro nella chiesa di Sant’Agnese a Portogruaro il 2 aprile del 2004. Ma quel lamierino, si scoprì, era stato manomesso con un paio di forbici sequestrate all’ingegnere nel laboratorio scientifico di indagini criminalistiche di Venezia: era stato incastrato così.
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La verità venne infine a galla e finì sotto inchiesta il responsabile del laboratorio, Ezio Zernar, poliziotto esperto di balistica le cui consulenze erano entrate in grandi casi di cronaca nera, come il caso di Marta Russo. Nel 2014 Zernar è stato condannato definitivamente dalla Cassazione a due anni, pena sospesa, e a risarcire Zornitta con 100 mila euro. Ma come rivela l’ingegnere al Corriere della Sera: «Non ho ancora visto un euro».
Il suo legale, Maurizio Paniz, spiega: «Siamo riusciti a pignorargli appena 30 euro, mi pare. Il poliziotto ha venduto tutti i beni oggetto di eredità con un’operazione molto bella ed efficace dal punto di vista del diritto ma anche molto ingannevole nei confronti del creditore Zornitta. Si è poi separato dalla moglie per cui è saltato anche il quinto dello stipendio che era l’unica risorsa rimasta pignorabile».
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Al danno si è aggiunta la beffa: due anni dopo la condanna definitiva, Zernar, che la polizia spostò semplicemente alla stradale, fu anche promosso di grado.
TROPPO POCHI PER L’ACCUSA DI ESSERE UNABOMBER
Zornitta ha fatto causa allo Stato. E vuole oltre un milione di euro. Paniz non ha dubbi: «Abbiamo chiesto il risarcimento per inadempienza dello Stato: come dipendente del ministero. Zernar ha tradito il suo ruolo truccando la prova che ha fatto indagare per anni il mio cliente mettendolo sulla graticola di un’accusa infamante. C’è stata una deviazione d’immagine molto significativa».
Per questa ragione il legale ha deciso di impugnare il risarcimento da 300 mila euro stabilito dal giudice. C’è un punto che effettivamente sottolinea l’avvocato e che mette i brividi.
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Un punto che dovrebbe fare molto riflettere sull’entità della colpa dello Stato, della sofferenza che ha patito il suo assistito e ciò che il futuro avrebbe potuto portargli: «Se non fossimo riusciti a scoprire la manomissione, forse Zornitta sarebbe ancora nelle carceri».
Già. Oggi ci saremmo potuti trovare davanti ad uno dei più gravi errori giudiziari della storia della Repubblica, errore evitato esclusivamente per l’abilità delle indagini difensive nello smontare una prova falsa.
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Ma ciò che indigna è che l’Avvocatura dello Stato abbia a sua volta impugnato il risarcimento, ritenendola troppo alta per un innocente sbattuto in prima pagina come un mostro dallo stesso Stato. Evidentemente, per lo Stato, la nostra reputazione e la nostra dignità valgono molto meno.
Si torna in aula a gennaio, in Corte d’Appello. L’ingegnere, a 13 anni dalla sua uscita dall’inchiesta, deve ancora vedere un soldo.