Alessia Pifferi, a Cronaca Vera parla l’avvocato Solange Marchignoli, uno dei due difensori della mamma che ha lasciato in casa la figlia di 18 mesi per 6 giorni, trovandola ovviamente morta al suo ritorno“Alessia ha avuto problemi a scuola, non ha fatto la patente, spesso si muove con un autista”Il legale ha anche subito minacce social
MILANO- Ha indignato l’Italia la storia di Alessia Pifferi, la 37enne che ha abbandonato per 6 giorni la figlia Diana nel suo lettino con un biberon per stare insieme al nuovo compagno di Leffe (che non è il padre del bimbo), nella bergamasca.
Quando è tornata, ovviamente, la piccola era morta di stenti, già da un giorno. Il gip di Milano Fabrizi Felice ne ha convalidato l’arresto e la donna è in carcere con l’accusa di omicidio volontario nella forma omissiva aggravato dai futili motivi. A lui si è giustificata dicendo che teneva al «futuro» con il nuovo partner ed è «per questo che ho ritenuto cruciale non interrompere quei giorni in cui ero con lui anche quando ho avuto paura che la bambina potesse stare molto male o morire».
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Parole che lasciano senza fiato. Eppure la ventenne Sara Ben Salha, finita in cella per qualche giorno per una faida tra trapper, l’ha incontrata a San Vittore e ha detto a Repubblica: «Non è un mostro ed è sola al mondo, la famiglia le ha voltato le spalle, il compagno è sparito, le altre detenute la odiano».
A difendere Alessia sono gli Luca D’Auria e Solange Marchignoli, già entrati in noti casi di cronaca come la strage di Erba come legali di Azouz Marzouk. Cronaca Vera ha incontrato quest’ultima.
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Avvocato Marchignoli, voi avete subito nominato esperti psichiatri e neuroscienziati per Alessia. Perché?
«La scelta di richiedere la perizia psichiatrica e di coinvolgere anche il professor Giuseppe Sartori, il più noto neuroscienziato forense, non deriva solamente dal fatto di verificare una eventuale infermità mentale della nostra assistita Alessia Pifferi, ma anche per sottoporre ad una sorta di analisi scientifica gli elementi tipici del reato. Faccio un esempio: il dolo di omicidio in vicende come queste non può limitarsi ad essere desunto dalle tracce materiali del reato e dunque dei comportamenti dell’accusato. Alessia Pifferi non ha “agito” contro la propria bambina, semmai ne ha causato la morte “non agendo”. Questa inazione provoca una serie di questioni di diritto che non possono essere risolte solamente con una narrazione preconfezionata e forse di facile lettura. La scienza deve entrare nella valutazione dei confini delle ipotesi di reato per attribuire le giuste responsabilità. Altrimenti la narrazione della mamma-mostro che può andare bene per il dibattito da social network rischia di trasformarsi in una valutazione di diritto. In ogni caso Alessia Pifferi è una persona con difficoltà relazionali. Me ne sono resa conto durante i colloqui in carcere. Non posso dire che non sia lucida, piuttosto sembra passiva, quasi fosse immersa in una bolla. Evidentemente il carcere è un ambiente complicatissimo, in più Alessia è sola, senza nessuna solidarietà ma, ribadisco, sembra sempre avvolta in un velo e anche questo aspetto dovrà essere oggetto di analisi specialistica. Insomma, tutti i temi processuali dovranno essere scandagliati da analisi scientifiche e non argomentazioni puramente retoriche».
Sul suo passato non si sa molto.
«Debbo dire che racconta poco del suo passato. Ha avuto problemi a scuola, non ha fatto la patente, spesso si muove con un autista. Le relazioni personali, come anche testimoniato dalla stampa, sono state spesso confuse e scarsamente produttive di rapporti stabili. Certamente ha avuto affetti famigliari ma, dopo la vicenda, ogni ponte verso di lei è stato chiuso. Come detto, oltre a noi avvocati, pare non avere nessuno. Di questo soffre e probabilmente questa solitudine è una costante nella sua vita personale. Di più non ha raccontato».
È stato scritto che sembra vivere fuori dalla realtà.
«Devo dire che l’impressione è proprio questa. Faccio un esempio: Alessia non sa nulla di quanto accade fuori dal carcere, di come il mondo intero la stia additando come la mamma mostro. Anche il tema della sua partecipazione ai funerali, così ingigantita dalla stampa, è significativa: avrebbe voluto partecipare come vorrebbe ogni mamma che ha perso il figlio. Ovviamente le è stato spiegato che non era possibile non solamente perché il magistrato non avrebbe mai dato il permesso, ma proprio per ragioni di ordine pubblico e tutela della persona. Di tutto questo Alessia non immaginava nulla e quindi l’impressione è quella che viva fuori dalla realtà».
Lei ha subito minacce per aver accettato di difenderla.
«Siamo nel mondo dei social network e questo favorisce ogni forma di reazione emotiva. Certamente quelle più sgradevoli sono all’ordine del giorno. Io cerco sempre di rispondere rappresentando come l’avvocato penalista sia un mestiere tecnico, qualcosa di simile al medico che deve curare una patologia a prescindere da chi sia il paziente. Il diritto di difesa è garantito dalla Costituzione e difendere una persona accusata di reato contro i suoi interessi costituisce il reato di infedele patrocinio».
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