Ora che il Governo dei Migliori va mesto al tramonto, comincia ad uscire qualche numero reale dell’economia italiana
Si stanno strappando tutti le vesti per la caduta del governo di Mario Draghi. Naturalmente con la parola “tutti” intendiamo gli esecutivi stranieri, che parlano per bocca dei loro giornali. Ci sono ovviamente gli Stati Uniti, cui interessa soltanto la fedeltà alla Nato e la linea unica contro il nemico Vladimir Putin.
E c’è l’Unione Europea, seriamente preoccupata dal fatto che l’unico Paese che ha chiesto la bellezza di 122 miliardi di prestito per il famigerato Pnrr, non sia più in grado di mantenere gli impegni presi attraverso una politica di austerity, svendita del demanio e tassazione sempre più pressante.
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D’altra parte l’operazione “geniale” di chiedere una montagna di soldi, quasi dieci volte il secondo richiedente, ovvero la Romania, con 15 miliardi, era addirittura antecedente il Governo dei Migliori, quando Giuseppe Conte decise di infilare la testa degli italiani nel cappio con grande frastuono di applausi della stampa nazionale. Quanto agli italiani, invece, con la caduta di Draghi, inizieranno a respirare. Perché i numeri reali, ora che l’esecutivo è finito, cominciano ad emergere.
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Scrive Repubblica: «Anche in Italia, rileva il monitoraggio di Bankitalia, Anpal e ministero del Lavoro, la creazione di nuovi posti sta rallentando: nei primi sei mesi del 2022 sono stati 230 mila, un dato positivo, ma in flessione nei mesi di maggio e giugno». Quindi, non c’era alcuna bacchetta magica che stava cambiando le cose. Ma non basta.
Perché l’interpretazione dei numeri fatta dal quotidiano è piuttosto fuorviante. Si deve partire dal milione di posti occupazionali persi durante la pandemia, nonostante (lo si ricordi a vita) i proclami dell’ex ministro dell’economia Roberto Gualtieri, che l’11 marzo 2020 ebbe l’ardire di giurare: «Nessuno perderà il lavoro».
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In secondo luogo, quali sono i posti occupazionali recuperati? Lo spiegava l’Istat, nel suo rapporto di maggio: «Tale incremento è composto, in oltre la metà dei casi, da dipendenti a termine che arrivano, in complesso, a maggio 2022 a superare il 3 milioni 170 mila, il valore più alto dal 1977. Il tasso di occupazione scende a 59,8%, restando comunque prossimo ai valori record registrati nei mesi precedenti; quello di disoccupazione si attesta all’8,1% e il tasso di inattività, che sale al 34,8%, è leggermente superiore ai livelli prepandemici».
Dunque, i dati bisogna leggerli bene: il tasso di inattività, ovvero di quelli che un lavoro non lo cercano manco più, è addirittura più alto di prima della pandemia. E oltre la metà dei posti di lavoro recuperati fino a oggi riguarda i contratti a termine e agli autonomi, come non accadeva da mezzo secolo.
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La differenza è che allora si aprivano imprese. Oggi si aprono partite iva perchè nessuno assume più e, quando si assume, lo si fa a tempo determinato e a cifre ridicole. Secondo i calcoli della Cgia di Mestre, in compenso, i rincari di luce e gas arriveranno a pesare 106 miliardi nel solo 2022, soprattutto per le industrie concentrate in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna.
E se la Russia chiudesse definitivamente i rubinetti del gas, i costi sarebbero destinati a salire. Questo perché le sanzioni hanno finito per danneggiare soprattutto l’Ue, e non certo Stati Uniti e Gran Bretagna che sotto quel profilo sono abbondantemente più autonome.
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Non a caso, dopo i ridondanti proclami sulla nostra capacità di resistere e sugli accordi con altri fornitori, oggi il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani ci dice che saremo indipendenti dalla Russia solo nella seconda metà del 2024. E che fino ad allora l’Italia dovrà risparmiare il 7% del gas, con riduzione delle temperature da 20 a 19 gradi.
Il punto è che per le aziende la metà del 2024 è dannatamente lontano, gli aiuti di Stato, o meglio le elemosine e i prestiti garantiti, sono affondati nelle maglie della burocrazia. E all’orizzonte non resta che ipotizzare una nuova spremitura di tasse. Solo che stavolta non c’è più niente da spremere. Ma i politici, che fanno a gara su chi sia più servile con Ue e Nato, sembrano non cogliere la questione e l’allarme. Perché ne circola solo uno, ben diverso.
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Scrive infatti il Corriere della Sera: «Poiché la Pa italiana al 1° gennaio 2022 contava 3,2 milioni di dipendenti (al 1° gennaio 2021 aveva toccato il minimo storico degli ultimi 20 anni), significa che la macchina dello Stato mancherebbe di circa un milione di impiegati». Certo, mettiamoci anche un milione di altri stipendi pagati esclusivamente dalle nostre tasche. E poi gridiamolo tutti insieme il mantra idiota di questi anni di geni al potere: «Andrà tutto bene».