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Serena Mollicone: l’accusa ai Mottola non regge

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La fresca  assoluzione del Maresciallo Franco Mottola, dei suoi famigliari ed altri due carabinieri della stazione di Arce, processati per l’omicidio di Serena Mollicone, ha suscitato un diffuso sdegno nell’opinione pubblica, e finanche un tentativo di linciaggio degli imputati e degli avvocati da parte di “colpevolisti” presenti in aula alla lettura della sentenza. Influenzato dalla opinione largamente prevalente, sui media e tra la gente, secondo cui la povera Serena Mollicone  ventuno anni fa avrebbe trovato la morte per essersi ingenuamente e improvvidamente intromessa nei comportamenti illeciti del Mottola,  spingendolo a reagire con la violenza, io stesso sono rimasto stupito e perplesso. Tuttavia, dopo essermi meglio documentato ho scoperto che la colpevolezza degli imputati è tutt’altro che inequivocabile, anzi.

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Serena Mollicone, studentessa diciannovenne di Arce in provincia di Frosinone , scomparve misteriosamente il 1° giugno del 2001. Immediato allarme nel parentado e nella cittadinanza tutta. Dopo due giorni di ricerche infruttuose, viene ritrovata cadavere in una zona di campagna. Il corpo ha un sacchetto di plastica in testa e, quasi per una sorta di pietas funeraria, è stato  ordinatamente e strettamente  fasciato in più punti con nastro isolante da pacchi .

Tuttavia, come gli esami autoptici chiariranno, a provocare la morte della giovane non è stata la  brutta ferita con frattura cranica riscontrata in corrispondenza dello zigomo, ma la circostanza che il sacchetto e soprattutto il nastro applicatole sopra le vie respiratorie le ha impedito di respirare. Dopo una dolorosa agonia Serena è deceduta, secondo gli esperti tanatologici, per asfissia meccanica.

SERENA MOLLICONE, UN CASO DOLOROSO E CONTROVERSO

Trattandosi di una brava ragazza studiosa e benvoluta da tutti le indagini cercano di far luce , con determinazione, sull’efferato crimine. Nell’ambito delle conoscenze e amicizie di Serena emergono numerosi sospettati, senza che si facciano concreti passi avanti. Nei movimenti compiuti dalla giovane, che la mattina si era recata in una località vicina, Isola dei Liri, per una esame medico, e poi doveva proseguire per alcune commissioni verso  Sora, la città più grande del circondario , c’è un buco temporale in cui, evidentemente, deve avere incontrato il suo assassino.
Poiché l’analisi della scena, e la circostanza che  i carabinieri il giorno prima erano passati di lì senza trovare nulla, esclude che l’omicidio possa essere avvenuto nel luogo di ritrovamento del cadavere, è difficile stabilire dove la ragazza sia stata uccisa.

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SPUNTA IL MOSTRO MA È INNOCENTE

Le indagini hanno una svolta quando Carmine Belli, un carrozziere trentacinquenne che conosceva Serena per averle dato più volte passaggi in auto sulla tratta tra Sora e Arce, sostiene di averla scorta, in un’orario immediatamente precedente alla morte, nei pressi di un locale  vicino al terreno incolto in cui venne ritrovato il cadavere.
L’uomo cade in contraddizione raccontando di aver visto la ragazza mentre litigava con un individuo dai capelli di un biondo artificiale, salvo poi anticipare l’avvistamento al giorno prima, quando però per certo Serena si trovava da un’altra parte.
La rete intorno a Belli si stringe, sino ad arrivare al suo arresto e al rinvio a giudizio, con l’accusa di aver ucciso la ragazza a seguito di un approccio sessuale rifiutato. Tra gli indizi a carico, un foglietto di prenotazione , trovato presso la sua officina, per una visita dallo stesso dentista di Serena, presso il cui studio di Sora la ragazza doveva recarsi il giorno della scomparsa. Belli non sa giustificare come e perché il foglio – che peraltro non è di sicura attribuzione alla vittima- si trovasse a casa sua, anche se dichiara di conservare tutto quanto trova nelle auto su cui lavora.
Carmine Belli è stato assolto in Cassazione nel 2004 principalmente perché – su questo torneremo – le numerose impronte digitali e tracce di DNA trovate sui libri di scuola  che la vittima aveva con sé, su un contenitore di metallo presente sulla scena, e soprattutto sul nastro adesivo usato per avvolgere il suo corpo,  sicuramente riferibili allo sconosciuto compositore delle spoglie di Serena (e suo carnefice per averne procurato la morte per asfissia)  non gli appartengono.

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SOSPETTI E VELENI

Dopo l’uscita di Belli dall’indagine, il caso entra in un periodo di quiescenza, anche se continuano a rincorrersi voci che l’omicidio potrebbe essere legato alla rete di spacciatori che infesta Arce, grande cruccio di Serena,  angosciata dalla diffusione della droga tra i coetanei. Del giro faceva parte  un amico della ragazza, Marco Mottola, figlio del Maresciallo. Poiché questo giovane era tossicodipendente svolgeva, come di solito accade, anche un ruolo di piccolo spacciatore o comunque contribuiva al proliferare della piaga. Marco Mottola potrebbe essere il misterioso individuo che Carmine Belli aveva avvistato insieme a Serena il giorno della scomparsa, anche se il colore dei capelli non coincide perché Il ragazzo , bruno di capelli, non li portava tinti di biondo come dimostrano le sue foto ai funerali di Serena.
Serena potrebbe esser stata messa a tacere  poiché intenzionata a denunciare Il ragazzo, suo coetaneo e compagno di scuola, creando gravi difficoltà al padre per la sua posizione di membro delle forze dell’ordine chiamato a combattere il traffico illegale di stupefacenti.

UN SUICIDIO RIVELATORE?

L’ipotesi tuttavia non decolla per mancanza di appigli concreti, sinché nel 2008 il suicidio, spettacolare ed atipico,  di un carabiniere della Caserma di Arce, Santino Tuzi, le fa d’improvviso prendere corpo.
Il milite, appartatosi dentro l’abitacolo della sua automobile, si è sparato al petto con la pistola d’ordinanza, reggendola con una mano contro si sé e premendo il grilletto col pollice dell’altra. Dal caricatore mancano due proiettili anche se la vittima ha sparato un solo colpo.
Nonostante le perizie confermino che si è trattato di  suicidio scatenato da un forte, documentato disagio esistenziale, si diffonde il sospetto che si tratti di un omicidio camuffato da suicidio per impedire a Tuzi di portare a conclusione una clamorosa testimonianza che nei giorni  precedenti alla morte aveva, in modo sofferto e contraddittorio, incominciato a rendere agli inquirenti.
Tuzi aveva rivelato che il 1 giugno del 2001, mentre faceva il piantone in caserma, aveva visto entrare una ragazza somigliante a Serena Mollicone, salita ai piani superiori per incontrare il Maresciallo Mottola e non più vista uscire.
Si tratta di un vero fulmine a ciel sereno, che indirizza pesantemente i sospetti sul Comandante della Caserma.
Le cose, in realtà, non sono così semplici.
Il racconto di Tuzi è emerso in tre diverse sedute di interrogatorio, concitate e drammatiche. Nella prima Il testimone dopo aver parlato genericamente di una ragazza di età e aspetto approssimativamente riconducibili a Serena finisce per identificarla con lei , salvo nella seconda ritrattare sostenendo di aver riconosciuto la Mollicone nella visitatrice per le pressioni esercitate su di lui. Nella terza Tuzi ritratta la ritrattazione, uscendo prostrato e in angoscia dall’interrogatorio. Come mai il carabiniere si è deciso a parlare dopo così tanto tempo? E quali ricatti o pressioni l’hanno indotto all’omertà?
Inoltre il suicidio , intervenuto prima di poter chiarire in contraddittorio con la difesa il reale tenore e l’attendibilità delle sue dichiarazioni, di per sé non lineari, impedisce di attribuire ad esse pieno valore probatorio.
Sono necessari altri riscontri obiettivi che Serena, come la testimonianza di Tuzi sembra indicare, è stata  uccisa dal Maresciallo Mottola dentro la caserma.
Trovarli appare un’impresa disperata: dai fatti sono trascorsi molti anni , e se davvero il Maresciallo è un’assassino ha ragionevolmente avuto tutto il tempo e l’agio di far sparire tracce compromettenti.

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LA PORTA DELL’INFERNO?

A sorpresa invece gli uomini del RIS riescono a mettere le mani su una prova che sembra avere tutte le caratteristiche della pistola fumante, ed infatti diviene uno degli elementi cardine dell’impianto accusatorio contro Mottola padre e figlio.
Si tratta di una porta nella cui parte superiore, all’altezza di 1.54 metri da terra, sta un buco di origine sconosciuta.
I reparti scientifici impegnati nell’indagine si adoperano a svolgere accurate analisi ed esperimenti sul presupposto che esso  non sia altro che la traccia del violento impatto che ha fratturato lo zigomo di Serena.
In altre parole qualcuno, il Maresciallo o più probabilmente il figlio in un alterco con l’amica, l’ha tramortita scagliandola contro la porta. Invece di chiamare  soccorsi, gli assassini avrebbero deciso di far sparire ogni traccia della presenza del corpo in caserma, impacchettando la ragazza -che ne muore asfissiata – e trasferendola all’esterno in un luogo appartato.
L’esito degli esami scientifici sulla porta viene ritenuto compatibile con questa narrativa. In particolare un cranio in vetroresina fatto cadere su una porta della stessa foggia, distesa a terra, causa una frattura  simile, producendo piccole scorie lignee nella stessa quantità rinvenuta appiccicata al nastro adesivo usato per fasciare il cadavere.
Senonché gli esperti della difesa hanno persuasivamente dimostrato, in dibattimento, che la statura di Serena e la dinamica della spinta infertale non possono aver causato una lesione  così in alto nel legno della porta.
Anche la distribuzione delle piccole schegge sul nastro adesivo del delitto è molto più rada di quanto riscontrato nell’esperimento.
Si deve quindi concludere che quella porta NON è l’arma impropria che ha ferito Serena.

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IL CARDINE DELL’INCHIESTA

Come nel caso di Carmine Belli, a far propendere in modo decisivo per l’innocenza degli imputati è comunque  la non riferibilità a loro, inequivocabilmente appurata, delle tracce biologiche e delle impronte isolate sulla scena criminis e appartenenti al legatore e assassino di Serena.
Obiettività impone che nessuno possa essere condannato per l’omicidio di Serena Mollicone senza riscontro certo che quelle tracce genetiche e digitali sono sue.
Anche nel caso  si voglia obiettare che chi ha composto il corpo della ragazza fosse un complice degli imputati, è necessario, per sostenere validamente questa tesi, individuare costui.

Rino Casazza 

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Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

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