Per la prima volta parla Ivano Savioni, uno dei condannati per l’omicidio di Maurizio Gucci, tra i casi di cronaca nera più noti degli ultimi decenni e che ha ispirato il film House of GucciIvano Savioni ha scritto un libro sulla vicenda. Lui era quello che per i giudici si lasciò scappare informazioni sull’accaduto con un informatore della polizia: “Alla fine mi sono scocciato di sentirmi definire organizzatore, basista e altro dell’omicidio di Maurizio Gucci. Ecco la verità”
Il libro si chiama “Ho ucciso Maurizio Gucci: La mai raccontata storia”. Ed è la verità di uno dei condannati per l’omicidio dell’erede della celeberrima casa di moda famiglia fondata dal nonno Guccio Gucci. Si chiama Ivano Savioni, e a Gabriele Moroni de Il Giorno ha detto: «Per anni non ho voluto dire niente. Alla fine mi sono scocciato di sentirmi definire organizzatore, basista e altro dell’omicidio di Maurizio Gucci…».
Condannato a 20 anni, uscito nel 2010, oggi compra e vende salumi insieme ad un altro ex detenuto. E se si guarda indietro certo, qualche rimpianto ce l’ha, perché, giura «per me doveva essere solo un bidone per farci un po’ di soldi. Nessun omicidio». Ma andò diversamente.
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IL DELITTO DI MAURIZIO GUCCI
Via Palestro, Milano. La mattina del 27 marzo 1995 Maurizio Gucci sale sulle scale dell’immobile della sua società. Alle spalle arriva un uomo a volto scoperto con cappellino da baseball. Gli spara, poi colpisce il portiere dello stabile Giuseppe Onorato ad un braccio. E fugge sull’auto guidata da un complice. La notizia fa subito il giro del mondo.
Rammenta Savioni: «La radio diede la notizia dell’uccisione di Gucci e di un’altra persona. Per fortuna, almeno la seconda parte non era vera e il portiere dello stabile di via Palestro era vivo. Mi venne un colpo. Il giorno dopo mi precipitai da Cicala. Mi rassicurò che tutto era fatto e io ero sempre dentro l’affare. Conclusione: ero stato tagliato fuori e la cosa aveva camminato a mia insaputa». Le indagini, guidate dal pm Carlo Nocerino, guardano in ogni direzione: finanza, affari, questioni ereditarie e societarie. Un giallo internazionale.
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PAROLE DI TROPPO
Fino a quando, proprio lui, Savioni, nell’albergo in cui diranno che facesse il portiere (“ma non ero il portinaio, era la pensione della zia e ogni tanto alloggiavo lì”) svela particolari del delitto ad un tizio che si rivelerà poi essere un informatore della Criminalpol, Gabriele Carpanese.
È da lì che partono le indagini decisive, quando, a parlare con Savioni, arriva un infiltrato della polizia che si fa passare per un trafficante di droga con il nome di Carlos. Lentamente, attraverso intercettazioni e microspie, la vicenda viene così a galla. Il 31 gennaio ’97 arrestano l’ex moglie di Gucci, Patrizia Reggiani, come mandante del delitto: avrebbe pagato 600 milioni per l’omicidio, spinta dalla gelosia e dall’odio per l’uomo che un tempo aveva amato.
Lei si difende sostenendo di avere sì affermato di volerlo morto, ma di non avere dato ordini per ucciderlo. E di aver successivamente pagato i killer che la ricattavano. Il pm Nocerino li definirà un «gruppetto di assassini».
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L’uomo che guidò l’auto per fuggire confessa: si chiama Orazio Cicala. Dice che l’assassino era un balordo. Ma non quello che viene indicato dagli inquirenti e successivamente condannato, il siciliano Benedetto Ceraulo, che si proclama innocente. Ad intermediare con il gruppo è stata una cartomante napoletana, Giuseppina detta Pina Auriemma, che la Reggiani aveva avuto modo di conoscere. Almeno, i processi la racconteranno così.
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PARLA IVANO SAVIONI
Ma rammenta oggi Ivano: «Giuseppina Auriemma, napoletana, era la zia della migliore amica di mia moglie. Sapeva che ero a Milano e mi venne a trovare. Mi disse che c’era una sua amica, una signora, che avrebbe avuto piacere di togliere di mezzo il marito. Pensai che era un’occasione per portare via un centinaio di milioni di lire a una che aveva i miliardi. Era chiaro che la cosa era da perfezionare per renderla credibile. Ma per me doveva essere solo un bidone per farci un po’ di soldi. Nessun omicidio. Ne parlai a Orazio Cicala, un siciliano che aveva un ristorante ad Arcore. Gli portai la Pina».
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Ma non fu lui, a omicidio avvenuto (a suo dire) a sua insaputa, a parlare. Quel Gabriele Carpanese, ricorda «era con me tutti i giorni e aveva capito qualcosa. Aveva visto la Pina. Aveva sentito che chiamava la Reggiani. Contattò la Criminalpol, ci avrà provato una ventina di volte perché all’inizio, per quanto ne so, non se lo filava nessuno. Al ritorno da un mio viaggio a Napoli mi chiese in prestito l’auto perché doveva ritirare una partita di pesce».
«Me la riportò imbottita di microspie. Alcuni giorni dopo arrivò Carlos. Gabriele me lo presentò come un narcos colombiano che aveva conosciuto in Sud America. Parlava uno spagnolo perfetto, ma era un ispettore della Criminalpol. Non gli feci nessuna confidenza, con lui parlavo solo di cavalli. Io e la Pina venimmo intercettati mentre commentavamo la notizia apparsa su un giornale di una proroga delle indagini sul caso Gucci. “Mi puzza – le dissi”. Era il 27 gennaio 1997. Quattro giorni dopo mi arrestarono».
Per le sue mani passarono circa 150 milioni, ma gliene restarono al massimo quaranta: «Il resto lo avevo dato a Cicala che per la sua passione per il gioco aveva due miliardi di debiti ed era inseguito dagli usurai». All’Agi, Ivano non nasconde il suo rancore per Gabriele: «Spero che sia morto ma se è vivo e dovessi incontrarlo… le gambe gliele spaccherei volentieri, sette mesi di galera per lui me li faccio». Quanto all’Auriemma «non era una maga, al massimo avrà accompagnato la Reggiani dal cartomante».
I protagonisti di questa storia oggi sono tutti fuori. Cicala è morto, com’è morto il portiere Giuseppe Onorato, ferito dal killer e risarcito con 100 mila euro 25 anni dopo i fatti. Patrizia Reggiani ha infine ammesso di essere la mandante del delitto parlando a Disovery Channel: «Ho un difetto, non ho una buona mira, quindi non potevo fare da sola. Ho trovato questa Banda Bassotti che ha compiuto il delitto».