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Scusate, ma davvero considerate Zelensky un sincero democratico?

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Cinque giorni prima dell’invasione in Ucraina il cancelliere tedesco Olaf Scholz propose a Volodymyr Zelensky di rinunciare pubblicamente ad entrare nella Nato proclamando la neutralità del proprio Paese, una mossa che avrebbe scongiurato la guerra.

Lo scoprì il Wall Street Journal, che rivelò anche come il patto sarebbe stato firmato da Putin e Joe Biden. Non era una richiesta irricevibile, non ci sarebbero stati morti e il Paese non avrebbe perso una sola città. Ma Zelensky rifiutò. Nessuno ha mai saputo perché.

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Tre mesi e molte migliaia di morti più tardi, con l’Ucraina rasa al suolo e varie città in mano ai russi, Zelensky dice ancora al quotidiano giapponese Nhk che negozierà con Mosca solo quando se ne saranno andati: «Vorrei che arrivassimo almeno ai confini del 24 febbraio, e poi ci proponiamo di sederci nuovamente al tavolo dei negoziati e concordare la pace».

C’è da capirlo, in fondo non è lui a morire. In cento giorni di guerra abbiamo assistito alla glorificazione del leader ucraino, esaltato come l’ultimo dei partigiani dai parlamenti europei come all’Eurovision.

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Eppure, l’uomo che ha mandato al massacro il suo popolo per difendere i suoi ben piccoli princìpi, ovvero entrare nella Nato, ha messo fuori legge l’opposizione e ha proposto uno scambio di prigionieri con quello che ne era il principale esponente, Viktor Medvedchuk; ha varato la legge marziale costringendo tutti gli uomini fino a 60 anni a lasciare le proprie famiglie e ad imbracciare il fucile contro l’esercito russo; ha stilato un registro dei “traditori”, che comprende politici, giudici, avvocati, membri delle forze dell’ordine e giornalisti che non sposano la sua linea e, in ultimo, ha promulgato una legge che consente di confiscare tutti i beni di coloro che sono filorussi.

ZELENSKY

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Un sincero democratico, insomma, del quale due fotoreporter italiani di fama internazionale, Lorenzo Giroffi e Giorgio Bianchi, hanno fatto le spese per non essersi allineati: il primo è stato letteralmente salvato dai alcuni colleghi dalle grinfie della polizia ed è stato espulso, il secondo ha spiegato di essere considerato da Kiev alla stregua di un criminale solo per aver raccontato ciò che vedeva.

Gli esperti di geopolitica non sono stati mai ascoltati. A partire dall’ex ambasciatore alla Nato e poi nella Mosca sovietica Sergio Romano, che due giorni dopo l’invasione disse: «Io stesso sono sempre stato contrario all’idea di allargare la Nato all’Ucraina. E devo dire che il punto di vista del presidente russo è degno di considerazione».

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Marco Carnelos, ex ambasciatore italiano in Iraq, già inviato speciale del governo italiano in Siria e in Medio Oriente, disse a La Verità: «Non ha senso veder distruggere un Paese per poi arrivare comunque a quell’esito. Chi pensa che l’autodeterminazione dei popoli sia più importante della stabilità globale, vive nel Paese delle meraviglie».

Il generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare, ha spiegato a Tagadà, su La7: «Si sta spargendo molto sangue, non dico inutilmente, ma quasi. C’è una porzione di territorio, quello che oggi viene chiamato Ucraina, che sicuramente dovrà avere uno status diverso dall’essere membro della Nato e forse anche dell’Europa, nel suo complesso. Qualcuno dovrà dire a Zelensky di essere più realista e stare con i piedi per terra perché è l’unica via».

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Infine, perfino l’ex segretario di Stato Henry Kissinger, 98 anni, al World Economic Forum di Davos ha detto che l’Ucraina dovrebbe ora avviare i negoziati «prima di creare sconvolgimenti e tensioni che non saranno facilmente superate».

Ma l’informazione italiana va in senso contrario e c’è chi si vanta di non ospitare voci dissonanti, lieto di dare così una mano alla censura. Google frena i siti online togliendo la pubblicità ai contenuti non allineati e il suo Youtube cancella oltre 70 mila video e ben 9 mila canali che, ad insindacabile giudizio del social, diffondevano false informazioni sulla guerra, violando così le nuove regole della piattaforma. Almeno così scrive Ukrinform, anche se non si sa come abbiano potuto giudicare falsi quei filmati.

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Di fatto, Zelensky esige ancora armi e noi le mandiamo, la gente continua a morire, rischiamo un conflitto mondiale. Ma a margine del Forum economico mondiale il finanziere George Soros sprona Mario Draghi ad andare avanti, ritenendolo nientemeno l’unico leader europeo in grado di reggere «il braccio di ferro con Mosca» perché, aggiunge «occorre sconfiggere Putin il prima possibile». D’altra parte oggi gli smemorati giornali italiani chiamano Soros “filantropo”.

Ma in Italia, nel famigerato “mercoledì nero” del settembre 1992, il “filantropo” Soros lanciò il più clamoroso attacco speculativo alla lira, che mise in ginocchio la nostra economia costringendola ad uscire dallo Sme e lanciandola verso un debito pubblico inarrestabile. Sicchè qualche dubbio sulle sue buone intenzioni lo abbiamo.

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Qualche altro dubbio, in merito alla nostra forza sul braccio di ferro con Mosca, lo fornisce l’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Josep Borrell, in un concreto intervento al Ceps: «Gli eserciti europei non potrebbero mantenere una guerra come quella in Ucraina per più di due settimane. Finirebbero le munizioni».

 

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