L’inchiesta sul Donbass di due giornalisti italiani, Andrea Sceresini e Lorenzo Giroffi: Ucraina. La guerra che non c’è
Andrea Sceresini e Lorenzo Giroffi sono autori di un libro pubblicato nel 2015, “Ucraina. La guerra che non c’è”, reportage di un viaggio di un mese e mezzo effettuato nell’autunno del 2014 nell’epicentro, e nelle sue zone limitrofe, della guerra allora in corso in Ucraina.
Il testo è stato riproposto con alcune aggiunte e aggiornamenti, col titolo “Ucraina. La guerra che non c’era“, subito dopo l’invasione russa dell’Ucraina iniziata alla fine dello scorso febbraio .
I due giornalisti contano di tornare a breve in quella martoriata terra per raccontare “da dentro” la grave escalation del conflitto avvenuta negli ultimi mesi.
Il loro resoconto di sette anni fa rimane una testimonianza importantissima per comprendere le origini e la natura del conflitto russo-ucraino.
Dal 2015 al 2022, dopo un prima fase di violenti attacchi e contrattacchi, la situazione in quella parte del mondo, la regione orientale dell’Ucraina confinante con la Russia, si è cristallizzata in una “guerra di posizione” tra lo schieramento separatista, che vuole l’annessione alla Federazione Russa, e quello governativo, che vuole riportare quei territori sotto la sovranità dello stato centrale.
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Sceresini e Giroffi hanno toccato con mano questa realtà attraversando tutta l’area con un percorso “ad anello”, che li ha portati a scendere nel Donbass dal confine russo nordorientale sino alla capitale ucraina, Kiev, e da lì a risalire verso la parte di Donbass al confine russo sudorientale.
In questo viaggio hanno potuto visitare tutte le città principali della regione, molte delle quali divenute famose in questo inizio d’anno come sede dei combattimenti più aspri tra esercito russo e ucraino: Kharkiv, Stachanov – la città del famoso eroe sovietico del lavoro -, Donesck, Dnipropetrovsk, Sloviansk, Mariupol e Lugansk.
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Durante il loro excursus – spesso pericoloso come tutti i soggiorni sulla linea del fuoco- Sceresini e Giroffi hanno assistito a due elezioni popolari: quelle, ufficiali, indette, dallo Stato ucraino per rinnovare il Parlamento, e quelle indette dai “ribelli” filorussi nell’area da loro controllata per eleggere le istituzioni secessioniste.
L’itinerario circolare del viaggio, con ripetuto passaggio da zone separatiste ad altre nazionaliste, e viceversa, permette al lettore di approfondire, attraverso la voce dei numerosi protagonisti intervistati, dell’una e dell’altra parte, tutti appartenenti alla base popolare coinvolta in prima persona dalla guerra, essenziali aspetti geografici, politici e militari del conflitto.
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Il Donbass
Geograficamente, il Donbass si compone dei tre oblast – corrispondenti grosso modo alle nostre regioni- di Donesk, Lugansk e Dnipropetrovsk. Solo gli ultimi due hanno una netta prevalenza di popolazione russofona con simpatie verso la Russia.
Infatti, sono gli unici territori in cui ha avuto successo la ribellione armata del 2014, che ha portato al distacco dallo stato centrale e alla creazione delle cosiddette Repubbliche (autoproclamate) di Donesk e Lugansk.
L’area delle due repubbliche- non riconosciute dalla quasi totalità della comunità internazionale – non coincide con l’intero territorio dei due “vecchi oblast”. Un parte di entrambi – per esempio, con riguardo alla Repubblica di Donesk, il distretto di Mariupol – è rimasta sotto il controllo ucraino.
Il governo centrale ha mantenuto la supremazia anche sulla pressoché totalità del territorio dell’oblast più interno del Donbass: quello di Dnipropetrovsk.
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Questa ripartizione del predominio territoriale è diretta conseguenza della distribuzione , in quell’area, dei residenti tra russofoni, che parteggiano per l’ex mondo sovietico, e ucrainofoni, che parteggiano per il governo centrale rivolto verso l’Europa e l’Occidente.
Man mano che ci si allontana dal confine russo i primi, prevalenti, scemano a favore dei secondi, finché questi non diventano maggioranza come nel resto dell’Ucraina.
Il conflitto del Donbass è a tutti gli effetti una guerra civile.
Ne è chiara e drammatica dimostrazione l’episodio, narrato nel libro, del combattente che rimane sconvolto dalla notizia della morte, in uno scontro armato nella stessa zona, di un caro amico di scuola arruolatosi nel fronte opposto.
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Guerra fratricida, ma con una decisiva particolarità: una potente nazione confinante, la Russia, ha appoggiato dal punto di vista politico, finanziario e e soprattutto militare il movimento separatista.
Il pieno sostegno russo, talora tradottosi in vero e proprio intervento bellico sul campo, ha consentito alle milizie secessioniste di resistere alla reazione dell’esercito ucraino, e di attestarsi in maniera stabile nelle due Repubbliche autoproclamate.
Pur essendo il loro riconoscimento formale da parte della Russia avvenuto solo nel febbraio di quest’anno, in coincidenza con l’invasione armata dell’Ucraina, quei due territori erano già passati dalla sovranità ucraina a quella russa. Basti solo, per dimostrarlo, che a Lugansk e Donesk la moneta corrente è il rublo non la grivnia ucraina.
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Al tempo del reportage di Sceresini e Giroffi il secondo protocollo di Minsk non era ancora stato sottoscritto – lo sarebbe qualche mese dopo – tuttavia lo stato delle cose presentatosi ai loro occhi non differisce nella sostanza da quello generatosi dall’”accordo di pace”del 2015 (tra virgolette perché non ha mai portato ad una vera pace) sino al febbraio scorso.
Nessuna delle parti ha mai dato corso agli impegni presi: non la Russia cessando la sua interferenza in Donbass orientale, e non l’Ucraina concedendo alle province filorusse un significativo status di autonomia che ne valorizzasse l’etnia e la lingua.
Per otto anni si è vissuto in una condizione ambigua, con un cessate il fuoco solo parziale e altalenante in cui due schieramenti, quello governativo e quello separatista, non hanno smesso di combattersi senza riuscire a prevalere l’uno sull’altro.
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Prima dell’offensiva russa di fine febbraio, tra il territorio in mano ai separatisti spalleggiati dalla Russia e quello in mano allo Stato ucraino -che ha inevitabilmente ottenuto aiuti finanziari occidentali- si era creata una lunga linea di confine che tagliava in mezzo zone con popolazione mista, russofona e ucrainofona.
In quest’area di attrito le due formazioni si fronteggiavano con continue schermaglie e bombardamenti reciproci. Pochi e di minimo rilievo gli avanzamenti degli uni e degli altri. Se nei pressi si trovavano centri abitati, la popolazione civile subiva gli effetti degli scontri militari. Ciò è accaduto a cittadini sia del ceppo russo che di quello ucraino.
Le formazioni politiche ucraine di estrema destra sono sempre state accesamente anti russe e favorevoli alla spallata finale in Donbass con repressione impietosa di quella che considerano una rivolta sovversiva.
Tuttavia queste tendenze hanno sempre avuto, anche nelle elezioni osservate di persona da Sceresini e Giroffi, un seguito trascurabile nell’elettorato, rivolto verso partiti e candidati più moderati che propongono un avvicinamento alla Comunità Europea e non vogliono forzare la mano in Donbass, ammesso che sia possibile con la protezione russa all’ indipendentismo.
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In Ucraina le tendenze naziste e razziste, con un consenso significativo solo in alcuni oblast occidentali, sono continuazione di un movimento nazionalista sorto durante la seconda guerra mondiale – il cui leader era il discusso Stepan Bandera – che pur di liberarsi dal giogo sovietico propugnava un’alleanza con Hitler.
Le elezioni nelle Repubbliche autoproclamate hanno visto il facile successo di candidati favorevoli al rientro nell’orbita Russa. Dal punto di vista ideologico, questi leader sono portatori di istanze di giustizia sociale più vicine al comunismo sovietico che al nuovo corso capitalistico con tratti autoritari in atto in Russia dopo il crollo dell’ URSS.
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